Le manifestazioni comportamentali, perlomeno per quanto riguarda gli esseri umani, tendono a dividersi in due grandi branche: quelle formali e quelle sostanziali. Facciamola semplice: gli uomini si dividono tra coloro che chiacchierano e coloro che fanno.
Nel bene come nel male, da una parte stanno i proclami, le dichiarazioni d’intenti, le raccolte di firme: dall’altra ci sono gli atti, le imprese, le molteplici rappresentazioni del pragma.
La sinistra, questa sinistra del terzo millennio, pasticciona e culturalmente disagiata, si divide equamente tra queste due Weltanschauung antitetiche: l’élite cazzeggia mollemente sdraiata in salotto, sul canapè, mentre la manovalanza beota si dà un gran da fare nella complessa attività di sporcare e sfasciare l’universo.
Così, i mastri pensatori, benchè di rado felicitati da regolari titoli accademici, elaborano manifesti per la tutela del lamantino zebrato, accendono candeline, giocano coi gessetti e leggono Sartre: i giovanoidi ingiubbottati, viceversa, spaccano i bancomat, imbrattano le statue e, se capita, insultano poliziotti e carabinieri, prendendoli a selciate. I primi predicano una pace scivolosamente inzuccherata e a tutto tondo, mentre i secondi, vorrebbero devastare le città, compatibilmente con la modesta energia delle loro braccette da vegani.
Questa è la vera dicotomia che ha messo in ginocchio la sinistra: non la sempiterna sfida tra rivoluzionari e democratici, tra Lenin e Kautsky, ma quella tra parlatori ed attori, tra chi fa e chi parla. E, in effetti, li posso pure capire, questi esangui pensatori in pulloverino di cachemere, quando vivono con qualche imbarazzo una base che fa esattamente il contrario di quello che loro vanno dipingendo come il decalogo del buon compagno: tollerante, aperto, accogliente, pacifico.
E’ un filino complicato sostenere che la violenza, la brutalità, l’ottusità provengano soltanto da destra, quando i tuoi succedanei scrivono “Fanculo la Patria” sul monumento alle Batterie Siciliane o ritinteggiano di rosa il monumento a Montanelli. Sorvolo, caritatevolmente, sulle devastazioni urbane o sugli attentati alle sedi di associazioni di destra, perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.
Quindi, per dirla come la direbbe qualche sottile pensatore gauchista, la sinistra vive un’atroce dicotomia tra il dire e il fare: il dire dei ciarlatani intelevisionati, con le loro cravattine in tinta e i completini di Prada; il fare dei bifolchi travisati, con le loro molotov e la loro foia di spaccare tutto. La realtà non è rossobruna: è rossorosa. Ragionevole nell’intonaco e brutale nel tavolato: gratta gratta, sotto l’uomo civilizzato salta fuori la bestia.
Il che, puntualmente, accade ogniqualvolta qualcuno si azzardi ad organizzare una qualche iniziativa che goda della disapprovazione della base: se ci si prova, si è certi di trovarsi fuori di casa la canea organizzata al gran completo, con tutti gli opportuni equipaggiamenti da dissentore democratico, dalla spranga alla bomboletta. E i nostri pacifondai da salotto? Per adesso, si limitano a glissare: a far finta che la cosa non li riguardi. E continuano a temperare matitine e a canticchiare “We shall overcome”.
Ma non può durare in eterno: perfino un popolo cretino come quello italiano, prima o poi, mangia la foglia: e fa uno più uno uguale due. Alla fine, vedrete, gli Italiani si romperanno le balle di dicotomie, di chiacchiere e di azioni: cacceranno a calci nel preterito gli uni e gli altri.
I pensatori, fischiandoli e sbeffeggiandoli: che è la cosa che un intellettuale di sinistra sopporta di meno. I mascalzoni, con il santo asperges del bastone, come suggeriva Carlin Porta duecento anni fa. E, finalmente, avremo chiuso i conti con la sinistra e con le sue contraddizioni del menga.