“La riconciliazione? È possibile. Non su una memoria condivisa ma sul rispetto reciproco”. Dal palco dell’Acqui Storia – prima che una demenziale riforma grillina – con la consueta stupida indifferenza dell’assessore regionale del centrodestra – modifichi gli equilibri della giuria trasformando il Premio in una squallida passerella degli intellò politicamente corretti – Mauro Mazza indica la strada per arrivare ad una pacificazione nazionale a 100 anni dalla Marcia su Roma. Una proposta intelligente, subito raccolta da un altro intellettuale intelligente come Gianni Oliva che, da posizioni opposte, arriva alle medesime conclusioni.
Non è il momento della resa dei conti ma, spiega, è ora di fare i conti con la storia degli italiani. Troppo comodo nascondersi dietro la menzogna di un popolo di antifascisti ante marcia, di un popolo di partigiani in armi. La resistenza ha coinvolto poche persone ed è inutile continuare a nascondere la realtà. Anzi, è controproducente.

Prove tecniche di pacificazione nazionale, dunque. Prove magari non facili, ma concretizzabili quando si incontrano e si confrontano persone preparate e corrette.
Però la riconciliazione infastidisce chi, sulla contrapposizione e sull’odio ha costruito la propria carriera professionale. Lo si vede ovunque. Ed anche sul palco di Acqui non manca chi pretende che la pacificazione sia legata al riconoscimento da parte dei perdenti di aver sbagliato tutto. Meglio se gli eredi degli sconfitti ammettano che padri e nonni erano in malafede, cattivi, feroci. Che i crimini dei vincitori non erano tali ma sacrosante operazioni di giustizia anche nei confronti di vecchi, ragazze, bambini.
Non una riconciliazione ma una abiura. Non una pacificazione ma una resa totale alla narrazione dei vincitori. Rivendicata come unica narrazione ammessa nelle scuole. Ed è inutile che un grande storico di sinistra come Oliva ricordi gli ex ragazzi di Salò internati nel campo di prigionia americano vicino a Pisa: Vianello, Tognazzi, Albertazzi, Chiari, Fo. Certo non criminali. Ma la rappresentante dei nuovi storici senza gloria non ci sta: il pericolo fascista è più vivo che mai. E bisogna contrastarlo già nelle scuole, con una narrazione che escluda a priori quanto rivendicato da Mazza: il rispetto reciproco. Nessun rispetto per chi ha perso e per chi non è funzionale alla grande mistificazione storica. La memoria personale può essere vera, la verità ufficiale deve essere una sola e rigorosamente falsa.
1 commento
Bene, ma la spocchia delle petulanti maestrine dalla penna rossa – che sentono sempre il bisogno di erudire i pupi con melense e patetiche paternali, impregnate di ideologismo pecoresco e stantìo ma spacciate per verità obiettive, ultimative e sacrosante (vietato sindacare, revisionare, mettere in dubbio quanto gli storici della loro parte, chi sa perché moralmente irreprensibili, inconfutabili e, va da sé, seri per definizione, hanno sentenziato) – meritava forse qualche ben aggiustata reprimenda “ad personam”. Meritava che qualcuno ricordasse loro che un “fil rouge” più consistente e pervasivo del “filo nero” strisciante, intriso di mitologia o di nostalgia fascista, da oltre un secolo ormai alligna (come una metastasi) nel tessuto politico-sociale della nazione, domina nella cultura, nei media, nelle casematte accademiche. Ed è ormai “establishment”, potere radicato. Luogocomunismo più che comunismo. Solo i daltonici incurabili non lo vedono e non ne paventano la carica antidemocratica. Ma che ne è intanto in Italia della duplice condanna dell’Ue del fascismo e del comunismo? Questa volta “quelli che lo dice l’Europa” fanno finta di niente. In libreria pullulano i libri su Mussolini, mentre di Lenin, Stalin, Mao e dei loro sanguinari eredi e seguaci nessuno si azzarda a parlare. Eppure la Cina è vicina. E Putin ancora di più…