Marcello Gori, protagonista di “La Ricreazione è Finita (Sellerio Editore, pp. 463, €16,00), l’ultimo romanzo di Dario Ferrari, è un trentenne laureato in lettere con poche idee di che cosa fare del proprio futuro. Prototipo del classico “bamboccione”, vive con i genitori a Viareggio, per laurearsi ci ha messo il doppio del tempo necessario, ha una fidanzata di cui forse non è innamorato e resiste strenuamente all’insistenza del padre che lo vorrebbe vedere al suo fianco dietro il bancone del bar di famiglia.
Per un caso fortuito vince una borsa di studio che gli garantisce per tre anni uno stipendio. Il titolare della cattedra da cui dipende il suo dottorato è il professor Sacrosanti, uno che “ha fatto il Sessantotto”, ma che dopo aver combattuto in gioventù per scardinare lo strapotere delle baronie universitarie si è trasformato in un barone peggiore di quelli che ha combattuto. Per conto del suo nuovo mentore, Marcello dovrà svolgere una ricerca su un oscuro autore, tal Tito Sella, che era stato a capo di un’organizzazione terroristica piuttosto abborracciata attiva in Versilia negli Anni di Piombo. Gli studi del protagonista lo porteranno a Parigi dove riuscirà a consultare l’archivio di Sella alla ricerca di un fantomatico romanzo autobiografico dal bizzarro titolo de La Fantasima.
Nella prima parte del romanzo Ferrari mette alla berlina il mondo accademico italiano. Un mondo popolato da quella intellighenzia di sinistra che, ormai da tempo immemore, si è stabilmente installata nei nostri atenei. Un mondo autoreferenziale che vive di ripicche tra istituto e istituto e tra ateneo e ateneo, che svolge ricerche del tutto insignificanti ai fini dello sviluppo delle ricerche letterarie, e che fagocita una quantità enorme di denaro pubblico per consentire a pochi professori pieni di boria di fare una vita da ricchi e di frequentare i salotti buoni dove poter sfoggiare la propria provata fede antifascista.
Inconsapevolmente o meno l’autore mette in fila tutti i tic della gauche caviar, che negli atenei nostrani diventano più evidenti che altrove, evidenziandone gli aspetti grotteschi e persino comici.
L’operazione è particolarmente gustosa dal momento che lo stesso Ferrari è uomo di sinistra. Talmente di sinistra che, con il procedere del suo racconto, evidenzia una malcelata simpatia nei confronti di quei personaggi che, negli anni Settanta e Ottanta, hanno insanguinato il nostro paese inseguendo l’illusione di fomentare una rivoluzione di stampo comunista.
Non stupisce pertanto che “La Ricreazione è Finita” abbia goduto di ottime recensioni sui principali organi di stampa. Intendiamoci: Ferrari scrive bene, è spiritoso e sa usare un linguaggio che, sconfinando spesso nel vernacolo, descrive in modo efficace il mondo della provincia allorché entra in contatto con gli ambienti paludati delle accademie. Ma la simpatia che tributa ai suoi personaggi che, per pura emulazione delle BR, rapinavano banche e rapivano rampolli di famiglie facoltose per finanziare una velleitaria e improbabile rivoluzione, rischia di respingere il lettore che non condivida con l’autore la nostalgia degli Anni di Piombo.