Una delle maggiori frustrazioni di chi scrive recensioni consiste nella necessità, per non dire nell’obbligo, di occuparsi di libri usciti di recente. Si dà per scontato che il “lettore forte”, vale a dire il destinatario della recensione, abbia ben chiaro in mente quanto è stato pubblicato in passato, mentre ha bisogno di essere informato sulle novità. Inoltre le recensioni sono spesso una sorta di “informazione redazionale”, vale a dire una pubblicità indiretta basata su parametri squisitamente commerciali. Non è questo il caso delle recensioni di questo magazine, ma tant’è.
Queste considerazioni tolgono al recensore il piacere di parlare di testi usciti non proprio di recente. Specie se gli stessi sono stati ignorati dalla critica ufficiale pur essendo degni di considerazione per i più vari motivi.
Per fortuna esistono delle eccezioni, vale a dire le ristampe o le nuove traduzioni. Pertanto, di quando in quando, si ha l’occasione di segnalare e consigliare la scoperta – o la riscoperta – di un classico.
Il caso in questione è rappresentato da “Ubik” di Philip K. Dick (Oscar Mondadori, pp. 252, €13,50).
Si tratta di uno dei più importanti romanzi di fantascienza del celebrato autore statunitense che condivide con Isaac Asimov il vertice di un genere oggi poco considerato, ma che in passato ha rappresentato una fetta importante della cosiddetta letteratura di intrattenimento.
Nel caso di Ubik ci troviamo di fronte a un romanzo che tocca i vertici del genere. E non è dunque un caso che la casa editrice apra con quest’opera la ripubblicazione, nella sua collana economica, di tutti i racconti dell’autore.
Diciamo subito che Dick non è uno scrittore “facile”. La sua abilità consisteva nel creare mondi nei quali era necessario inoltrarsi alla scoperta di dimensioni diverse e spiazzanti. C’è un’inquietudine di fondo che occorre condividere con lui e nella quale il lettore è chiamato ad inoltrarsi senza porsi troppe domande.
Ciò accade anche in Ubik, la cui trama risulta quasi impossibile da sintetizzare. Troppe sarebbero le spiegazioni che si dovrebbero dare: spiegazioni che risulterebbero comunque incerte per via del fatto che, molto probabilmente, erano ignote allo stesso creatore dell’intreccio.
Tuttavia, se si riescono a superare alcune incongruità di fondo, il piacere della lettura è assicurato. Dobbiamo tenere in considerazione il fatto che il romanzo fu scritto nel 1968 e che è ambientato in un improbabile 1992 in cui si viaggia dalla Terra alla Luna in poche ore, tutto funziona a pagamento (persino l’apertura della porta di casa), ma i computer funzionano ancora con le schede perforate e dei telefonini non si immaginava neppure l’esistenza, fatta eccezione per uno sporadico accenno.
Per il resto la storia si snoda sulle vicende del protagonista John Chip, del suo datore di lavoro Glen Runciter e di un gruppo di inerziali, personaggi bizzarri dotati di altrettanto bizzarre capacità psichiche. Ma la vicenda si sposta a poco a poco su un piano metafisico, con intriganti considerazioni relative al rapporto tra la vita – e la “semi-vita” – e la morte, con riferimenti che spaziano dal Bardo Tödol a Platone.
Niente paura, però! Ubik è pur sempre un libro di fantascienza, che però riesce a condurci su un piano che non è solo di puro divertimento.