Sembra che la perdurante crisi economica, aggravata dall’epidemia da Covid19, stia cambiando gli usi e i costumi di acquisto delle persone, con tendenze al momento ancora incomprensibili ed esiti incerti. Motivo per cui la fase della vendita sta diventando un asset strategico fondamentale nei processi produttivi, soprattutto in chiave futuristica, sebbene le conseguenze e le problematiche siano tuttora decisive.
Infatti, data la curva lunga ipotizzata per il virus nella fase autunno-inverno, si prevedono consumi in calo del 2% nel 2021, a fronte di un aumento del 5% per l’anno corrente: questo dato però è controbilanciato dal forte sviluppo dell’e-commerce nel largo consumo (+111% a fine anno e +80% nel prossimo!) [Dati IRI, INTL]. Stiamo parlando del settore “grocery” al dettaglio, che secondo gli statistici presenterà un aumento medio dei prezzi del +0,8% quest’anno e scenderà quasi a zero nel 2021, in concomitanza con il calo dei volumi di vendita.
Altri settori che subiranno questa altalena di quantità e prezzi sono l’alimentare “fresco confezionato” e i reparti chimici, mentre per le bevande si prevede un leggero ridimensionamento dei volumi che però garantiranno ricavi superiori ai livelli pre-Covid (in sostanza rispetto al 2019). Il dato tendenziale mensile è confermato anche dalle ricerche di mercato Nielsen, che vedono un ottobre in chiaro-scuro con l’e-commerce in crescita a tre cifre, il ritorno dei prodotti “cuochi a casa” spinti dall’acquisto di lievito e farina, mentre il “cashandcarry” (legato al business ho.re.ca.) sembra fermarsi senza tendenze nette.
Il largo consumo prende decisamente la strada dell’innovazione di processo, favorita dal “lockdown” e dai continui dpcm e ordinanze locali che impongono chiusure progressive o a macchia di leopardo ai negozi e centri commerciali. Nell’aspettative delle abitudini di consumo in via di cambiamento verso l’online e la consegna a domicilio, i manager che si occupano di vendite e di programmazione aziendale sono orientati ormai a investire sulla “digital transformation” e quindi sul marketing elettronico, la “web communication” e la vendita da remoto.
Sono termini spesso inglesi, perché si tratta di tecniche e sistemi inventati già molti anni orsono nel mondo anglosassone, in particolar modo negli Stati Uniti e Regno Unito: tendenze che, come capita da oltre un secolo ormai, presto o tardi influenzano il continente europeo e il resto del pianeta. Anche se negli ultimi decenni questo percorso è stato meno lineare e ha coinvolto prima altre sfere del pianeta, per esempio il Far East nel settore finanziario, stiamo sempre parlando di fenomeni globalizzati.
Ovviamente non è tutto rose&fiori perché questo cambiamento farà delle vittime e produrrà nuovi e devastanti problemi sociali e di ecosistema. Intanto, è emerso evidente che le reti di telecomunicazione attualmente in funzione (per esempio in Italia) non sono adatte a sopportare un enorme improvviso boom di transazioni commerciali come quello che ci viene paventato: lo abbiamo già sperimentato in primavera quando tutto venne dirottato “online” e sullo “smartorking”, ma poi le lezioni scolastiche o le riunioni di lavoro non potevano effettuarsi perché non c’era abbastanza “banda”.
Infatti, il Governo italiano è subito corso ai ripari affidando la gestione delle Rete Unica nazionale di telecomunicazioni ad un consorzio di player privati, sbloccando una trattativa che languiva da anni sui tavoli del ministero competente e della Agenzia per l’Italia Digitale. Che improvvisamente ha implementato l’utilizzo dello SPID per poter accedere a moltissime procedure burocratiche pubbliche o di interscambio documentale fra privati. Miracoli del Covid19…
Ma non sempre le ciambelle riescono col buco e così scopriamo che molti di questi servizi online innovativi non funzionano a dovere, subiscono ritardi nello sviluppo o nella risoluzione dei problemi, costano molto e spesso non sono funzionali né aggiornati. Qui il riferimento a “Immuni” è fuori luogo, ma quel caso serve a rendere l’idea.
Perché la progettazione e lo sviluppo di sistemi informativi elettronici è un’attività che ormai non ha nulla da invidiare a quella ingegneristica-architettonica o industriale: il settore dell’ICT (Information and Communication Technology) è quello cha ha visto le migliori performance negli ultimi decenni, sviluppandosi sia nel comparto produttivo che in quello socio-relazionale. Pensate solo alla incredibile diffusione di computer, telefoni cellulari, tv digitali, reti mobili e wi-fi di telecomunicazioni, etc.
Oggetti di cui ormai non potremmo più fare a meno, men che meno oggi che siamo costretti a blocchi e zone rosse, limitazioni alla circolazione personale e persino di acquisto nei negozi di strada. Inevitabilmente tutto questo va a vantaggio delle vendite da remoto, della consegna a domicilio e della comunicazione commerciale elettronica (cresce l’importanza del volantino digitalizzato e individuale, che è oggetto di investimenti strategici per il 75% dei grandi marchi commerciali planetari), dell’e-banking (le banche italiane continuano a chiudere sportelli e ridurre il personale, nonostante gli ottimi ricavi annuali) e in generale di quello che viene detto “Drive-To-Store digitale”.
Tutto questo fenomeno epocale è sostenuto e avvantaggiato dall’altrettanto importante sviluppo della finanza elettronica, ossia dalla diffusione di carte di credito e di debito, bancomat, carte di pagamento di ogni genere e sistemi di pagamento virtuali installati sugli smartphone, grazie ai quali è possibile effettuare un acquisto di qualsiasi tipo di prodotto direttamente e comodamente dal proprio telefonino di ultima generazione, con pochi click e in totale sicurezza (da dimostrarsi…).
Secondo ShopFully, ad esempio, circa il 60% dei consumatori nella fascia d’età fra 25 e 50anni già oggi cerca direttamente nel web quello che gli serve, di qualsiasi genere di prodotto si tratti, e conseguentemente procede all’acquisto online attraverso appunto i vari strumenti di pagamento disponibili. È una percentuale in netta crescita annualmente, che riguarda la fascia più attiva e facoltosa di acquisto rispetto alla popolazione, e si accosta all’altro dato sul netto aumento di coloro che spendono il loro tempo a consultare i “marketplace” e i volantini elettronici, invece che recarsi nei grandi magazzini o a leggere le brochure di carta consegnate dalla posta.
E quello è il secondo grosso tasto dolente che potrebbe mettere in crisi la transazione in atto e le vendite nel loro complesso, ossia la consegna postale o a domicilio. Da anni il servizio di consegna di lettere, pacchi e plichi vari è in aumento in tutto il paese, grazie all’attività di diversi vettori di ogni dimensione, da Poste Italiane al corriere di periferia o quello che opera nei più piccoli centri.
E sappiamo, per esperienza, che non sempre si può parlare di un servizio ottimale, anzi: sempre più spesso gli italiani sono costretti a doversi recare presso gli uffici reclami o i depositi postali per ritirare ciò che non gli è stato consegnato a casa, per vari motivi, solitamente per l’assenza dell’interessato. Questo intoppo fa perdere al ricevente tempo e denaro, perché usualmente la mancata consegna comporta un costo di deposito proporzionale al tempo in cui il plico è rimasto in giacenza presso il corriere.
Costo che va ad aggiungersi a quelli propri che si pagano per la spedizione, funzionali al valore o al peso del plico, variabili da società a società e comunque sempre a carico del ricevente. Il quale vede questo insieme di costi impropri cumularsi a quello del prodotto comprato online, che per logica di concorrenza di mercato e di filiera accorciata del processo di vendita (a cominciare dal carico dell’Iva) è normalmente inferiore a quelli del medesimo prodotto venduto in negozio. Pertanto, il rischio è di trovarsi a sborsare infine cifre più o meno simili con l’aggravante di aver impiegato più tempo a completare l’intero iter d’acquisto online, rispetto al tradizionale retail diretto.
Si consideri anche che l’aspetto sociale di un servizio di fattorinaggio spesso svolto in condizioni proibitive e peggiori di qualsiasi altro mestiere, non solo sotto l’aspetto economico: i casi dei biker sottopagati e costretti a turni massacranti per raggranellare uno stipendio decente sono nella cronaca nazionale da tempo. Immaginate tutto questo moltiplicato per le percentuali viste sopra dell’e-commerce e capirete…
Non sempre un’innovazione comporta solo vantaggi, anzi, spesso determina costi che sono anche superiori e disservizi notevoli, al punto da annullarne le prospettive positive. E questo sembra essere il caso dell’e-commerce e del mondo virtuale e “distanziato”, in generale.