Festeggiare il quarantesimo anniversario di una rivoluzione che ha donato al proprio popolo la libertà dal giogo statunitense ed è ancora saldamente alla guida del proprio Paese non è roba da poco.
E’ in quest’ottica che va letta l’enorme simbiosi tra il popolo nicaraguense e il Frente Sandinista de Liberación Nacional (Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, FSLN).
Ancor più importante è sottolineare come alla presidenza della nazione centroamericana vi sia uno di quei leader che sconfissero prima la dittatura dei Somoza e poi la controguerriglia armata dagli Usa dei Contras. Daniel Ortega, tornato al timone nel 2007 dopo un primo mandato relativo alla seconda metà degli anni Ottanta, è l’uomo simbolo di queste vittorie capace di incarnare le stesse rivendicazioni del movimento originario.
I nuovi mandati presidenziali di Ortega sono riusciti ad intervenire nell’ambito sociale con l’abbassamento del tasso di povertà dal 42,5% al 30%, come riportato da Luca Bagatin nel suo blog “Amore e libertà”, e garantire lo sviluppo delle energie rinnovabili che hanno raggiunto il 52% del fabbisogno nazionale.
Le proteste antigovernative della primavera 2018 sembrano essere alle spalle e Ortega si è rivelato un fine mediatore al pari del venezuelano Nicolas Maduro. Proprio come il presidente bolivariano, anche Ortega ha fatto del tempo una propria arma aspettando che la mobilitazione delle opposizioni scemasse e aprendo un dialogo costruttivo in cui non ha esitato ad accettare alcune proposte tra cui il rilascio di centinaia di oppositori arrestati per le violenze che hanno insanguinato il Paese e la revoca del provvedimento per la riforma pensionistica, utilizzato come pretesto iniziale per le manifestazioni.
D’altronde la necessità del presidente statunitense Donald Trump di occuparsi dello stretto di Hormuz in contrapposizione alla Repubblica islamica di Teheran ha consentito al triangolo del male dell’Alba (Venezuela, Cuba e Nicaragua) di riorganizzarsi.
Se dal punto di vista degli accordi commerciali sembra ormai tramontata l’ipotesi di affidare ad aziende cinesi la costruzione di un canale interoceanico parallelo a quello di Panama, la vera sfida della rivoluzione sandinista sarà quella di rinnovare i propri vertici. Il settantatreenne Ortega guiderà la nazione fino al 2021 ma una candidatura della moglie e attuale vicepresidente Rosario Murillo non segnerebbe un vero passaggio di testimone generazionale in grado di consentire la prosecuzione dei governi socialisti, motivo per il quale si rende necessaria al più presto la formazione di una nuova classe dirigente.