Negli ultimi giorni il Liceo Classico Pilo Albertelli di Roma è salito alla ribalta delle cronache nostrane per la decisione del consiglio d’istituto della scuola (sostenuta anche da una nutrita e agguerrita porzione dei suoi studenti) di bocciare due progetti, finanziati con i fondi del PNRR, ideati nell’ottica del “Piano Scuola 4.0” sponsorizzato negli ultimi mesi dal Ministero della Pubblica Istruzione.
I due progetti, presentati dal dirigente scolastico dell’Albertelli, erano destinati a cambiare totalmente gli spazi didattici, orientandoli verso una marcata tecnologizzazione e mercificazione e tra cui spiccano proposte del calibro di laboratori per “curatori di playlist” e corsi sull’utilizzo dei Social Network. Così facendo, il liceo ha temporaneamente rinunciato a finanziamenti che ammontavano a una cifra di poco superiore ai 270.000 euro e diventando al momento l’unica scuola che ha detto no alla Scuola 4.0.
La Repubblica, nella sua incessante battaglia votata alla costante mistificazione, non poteva trattenersi dall’assalto alla giugulare e, in un articolo del 15 Maggio, dipinge un ritratto tanto impietoso quanto patetico del consiglio dell’Albertelli, facendo apparire il blocco dei progetti come la vittoria di un gruppo di ottusi luddisti impegnati a mantenere le infrastrutture scolastiche del nostro paese nelle condizioni in cui erano ai tempi dello Statuto Albertino.
In un lungo comunicato stampa i genitori degli studenti, tra i quali figurano professori universitari, ingegneri e tecnici informatici (risaputi prototipi di luddista), hanno risposto agli attacchi del quotidiano e della stampa difendendo la loro decisione e spiegando le sacrosante ragioni alla base del loro No categorico all’approvazione dei progetti e al conseguente stanziamento dei fondi.
Il comunicato descrive come poco democratico il metodo usato per imporre dall’alto alle scuole di tutta Italia un cambiamento strutturale della didattica, che andrebbe — secondo legge — prima discusso e passato al vaglio dei docenti nei loro organi collegiali. Viene inoltre ribadito che non sono stati due genitori a bocciare i progetti del PNRR, ma la maggioranza del Consiglio di Istituto e a favore dei progetti hanno votato solo il dirigente scolastico e un genitore (molto probabilmente lettori di Repubblica), cassando l’ipotesi di una bocciatura “ideologica” da parte di una minoranza e smentendo la versione proposta da Repubblica.
Viene inoltre criticato il metodo di stanziare fondi destinati alla scuola pubblica solo per dotarla di strumenti informatici la cui utilità didattica ed educativa è quantomai discutibile (tranne per chi ci guadagna), mentre la politica continua a nascondere i problemi veri e strutturali dell’istruzione del Paese, ormai costantemente dissanguata da governi di ogni colore e posizione sin dagli anni ’80: aule pollaio, edifici fatiscenti, costante mancanza di personale e la forte aziendalizzazione subita dai nostri organi di pubblica istruzione sono solo alcuni dei problemi sottolineati dagli studenti e dai loro genitori.
In buona sostanza le critiche mosse dal consiglio d’istituto non fanno altro che evidenziare per l’ennesima volta una verità sotto gli occhi di chiunque non abbia timore di dire che il Re è nudo: nessuno dei progetti Pnrr destinati all’istruzione sembra essere dedicato alla risoluzione dei reali problemi della scuola in questo paese e sia genitori che studenti sono stanchi di essere presi in giro.
La polemica dell’Albertelli ci mette nuovamente di fronte all’ennesima (e costosissima) mossa di marketing di uno stato più interessato a mascherare la decadenza delle sue strutture e a favorire la svendita di una delle sue maggiori istituzioni agli usuali cacciavitari in cerca di bottino facile, tra pubblici appalti e la possibilità di ottenere manodopera iper-specializzata giovane e a basso costo di mantenimento.