L’ho scritto per scherzo, ma nemmeno tanto: se il simpaticone che ha dato fuoco al bus di studenti fosse incappato nei miei ragazzi, se lo sarebbero mangiato con l’accendino e le scarpe.
E’ una battuta, ovviamente: nessuno dei miei studenti pratica il cannibalismo.
Tuttavia, mi piacerebbe condividere con voi un paio di riflessioni, un tantino scorrette, su questo inquietante episodio. In tutta franchezza, delle arringhe assolutorie o accusatorie zero mi importa: se uno è così scemo da non vedere la realtà, quando questa gli esplode tra le gambe, nulla varrà a svegliarlo dalla bambola.
Però, mi sono chiesto, com’è che questo coso è riuscito a terrorizzare cinquanta ragazzi e tre insegnanti, a legarli con delle fascette e a tener loro un discreto numero di pipponi sulla propria nobile causa, guidando un pullman e armato, pare, soltanto di un coltello (qualcuno scrive che era disarmato)? Questi insegnanti come hanno reagito? Possibile che non abbiano alzato un dito contro questo demente, che, così a occhio, non mi pare un killer professionista?
C’è solo una risposta: l’incapacità reattiva di fronte alla violenza è un fenomeno di condizionamento sociale. Da una parte, ci sono i Carabinieri, addestrati a fronteggiare le emergenze e, più ancora, ad esercitare con coraggio il proprio compito: dall’altra, ci sono gli insegnanti, alimentati da decenni di sciroppose fantasie arcadiche, che sognano un’età dell’oro che esiste solo nelle circolari ministeriali e nei corsi di formazione.
I Carabinieri non sono stati degli eroi: sono stati dei Carabinieri. Ovvero gente pagata pochissimo, con un forte senso del dovere e una preparazione, come si è visto, di tutto rispetto. Sono gli insegnanti che hanno, secondo me, un tantino abdicato dal loro ruolo educativo: tremebondi perchè non abituati al coraggio, visto dalla scuola addirittura come un disvalore, in quel Paese delle Meraviglie di cui dicevamo poco sopra.
Non ce l’ho con loro, intendiamoci: uno il coraggio, se non ce l’ha, mica può inventarselo. Ce l’ho con la scuola, che paralizza ogni iniziativa responsabile, con il terrore di fare la cosa sbagliata: come nei corsi di primo soccorso, quando, alla fine, ti dicono di non fare nulla in caso di malore grave, perchè si rischiano delle grane.
E, visto che l’eventualità di finire in mezzo ad un’azione terroristica è, dati i tempi, meno remota di quella di un terremoto distruttivo o di un impianto chimico che deflagri, non capisco perchè non si facciano delle simulazioni di attentato, come si fanno quelle dei terremoti o delle aggressioni chimiche. O, meglio, lo capisco benissimo: certe cose non bisogna nemmeno nominarle. Non esistono. Si esorcizzano con le candeline e i gessetti: tanto accadono sempre agli altri.
Io, invece, due paroline le spenderei sullo spinoso tema: e le spendo. Tanto è vero che il disagiato, sofferente per i suoi fratelli morti in mare, se fosse salito sull’autobus sbagliato, adesso avrebbe finito di soffrire. A’ la guerre comme à la guerre.