Ditemi una cosa, cari lettori electomagici: se non foste in Italia e, perciò, abituati, alle italiche usanze, come ve la immaginereste una buona scuola? Non intendo le aule o le palestre, che pure hanno una loro importanza: dico la scuola come entità astratta, comunità di spiriti e cervelli.
Io credo che chiunque di voi abbia un figlio in età scolare o universitaria, vorrebbe che la scuola fosse, innanzitutto, un luogo stimolante, ricco di suggestioni e di informazioni, capace di trasmettere saperi, ma anche di eccitare curiosità culturale.
Poi, dovrebbe essere una sorta di anticamera della vita: dovrebbe insegnare ad applicarsi con determinazione e costanza, ma anche a godersi il premio della propria fatica e il meritato riposo. Infine, dovrebbe costruire le fondamenta su cui poggiano l’etica e la morale di un bravo cittadino. Nientemeno.
Va da sé che questa educazione sa di platonico: una scuola così non esiste da nessuna parte e, probabilmente, non è mai esistita né esisterà mai.
Tuttavia, io credo – e spero concordiate con me – che lì debbano tendere gli sforzi di un sistema educativo, e non altrove.
Viceversa, non vi è luogo meno stimolante della scuola italiana: insegnanti scalcinati e demotivati, tristi e poveri, che ciabattano per trentatre settimane all’anno su manuali mal concepiti, con programmi fossilizzati, e schiacciati da una burocrazia sempre più ottusa ed opprimente. Ma chi volete che si entusiasmi alla lettura di un romanzo, dopo due anni di testi argomentativi e descrittivi, di bambocciate narratologiche, di fuffa? E che ne sanno di musica, di pittura, di architettura, di bellezza, questi insegnanti?
Perché, in quel Paese di Bengodi di cui parlavamo prima, nella scuola dovrebbero confluire i migliori, per insegnare il meglio ai loro allievi: i laureati a pieni voti nelle migliori università, non i professionisti mancati o i dottori col minimo sindacale. Dico dovrebbero: solo che bisognerebbe pagarli per la loro bravura. Invece, si preferisce mantenere un esercito di mediocri, a prezzo di saldo, pagandoli con stipendi imbarazzanti. E la scuola che ne esce non può che essere, a sua volta, mediocre.
Quanto al punto numero due, ossia quello dell’addestramento alla vita, la scuola, semmai, insegna ad ottenere il massimo col minimo sforzo: è facilista, perdonista, utile all’imboscato e premiale per il fannullone, che, alla fine dell’anno, si vede promosso tale quale lo studente modello.
E, dunque, che gli frega di impegnarsi? Questo insegna, oggi, la scuola italiana: che farsi il mazzo non serve a niente.
Di qui discende il terzo punto: quello morale. Gli studenti, a forza di ministri che taroccano i curricula, di ordinari e associati cooptati per padrinismo o per politica, di dirigenti che non dirigono, insegnanti che non insegnano e bidelli che non bidellano, introiettano una visione della società tra il nepotista ed il mafioso: un mondo di raccomandazioni, di pastette e di leccaculi. Noi stiamo preparando i cittadini di domani: di un domani terrificante.
Così, cari lettori electomagici, arriviamo al punto: a cosa serve sognare? A cosa serve inveire? A cosa perorare la causa di questa povera scuola, che dovrebbe essere la prima preoccupazione di un Paese e che, invece, è l’ultimo dei pensieri di chi ci governa?
Ve lo dico bello chiaro: a nulla, tranne che a poter dire che non si è fatto parte della truffa. Si continueranno a nominare al MIUR incapaci, incompetenti o peggio: si promuoveranno dirigenti di nessun merito, si manterranno gli insegnanti in uno stato di abbruttimento collettivo e gli studenti in una noia desolante.
Perché una Nazione nasce dalle proprie scuole: ma con le proprie scuole può anche morire.
2 commenti
Ok, dottor Cimmino! Ma Lei certamente sa che, se nella scuola non ci fossero insegnanti che a dispetto di tutto credono ancora nel loro ruolo di formatori, la situazione potrebbe essere anche peggiore.
Certo che lo so, caro Ciccio: ci mancherebbe. Il punto è che quegli insegnanti, lungi da essere presi ad esempio, sono considerati dei poveri fessi e trattati a pesci in faccia. Più o meno come i tanti Siciliani non mafiosi…