È un uomo di parte, Ferdinando Parisella, segretario nazionale di Mio Italia, l’associazione che raggruppa gli operatori della ristorazione e dell’accoglienza. Un uomo di parte che non hai mai negato di essere tale. Anzi lo ha sempre raccontato con giusto orgoglio. Dunque può sembrare non oggettivo quando, intervenendo ad un convegno per modificare il ruolo dell’Italia nel conflitto in Ucraina, ha ricordato che la gente ha bisogno di socialità ed i luoghi della socialità sono i ristoranti, i bar, gli agriturismi, gli hotel.
Può sembrare una descrizione superata di un mondo che non c’è più. Di che anno sono le canzoni di Gaber “Trani a gogò” e “Il Riccardo”? Del ‘62 e del ‘69. E Gipo Farassino celebrava “Il bar del mio rione” negli stessi anni. Il bar, l’osteria erano i luoghi di incontro di una società che non si era ancora monadizzata di fronte alla tv, prima, e di fronte ad un computer, ora. Anche la politica, in quegli anni, sceglieva i bar come luogo di ritrovo per giovani poco propensi ad accettare le logiche di partito. Dunque quella di Parisella è una battaglia superata? Già combattuta ed irrimediabilmente persa?
No, una battaglia sicuramente difficile, con nemici sempre più agguerriti e feroci, subdoli e diffusi in ogni ambito dove esiste la possibilità di controllo. Ma anche una battaglia sacrosanta e che può portare a successi sorprendenti.
È evidente che il settore della ristorazione e dell’accoglienza deve cambiare. Prendendo innanzitutto atto che all’interno dello stesso comparto esistono realtà differenti e con interessi opposti. Il circuito dei ristoranti stellati – con tutto ciò che comporta in termini di disonestà intellettuale, di business, di relazioni non sempre dicibili – non ha nulla in comune con i locali che ambiscono ad essere punti di aggregazione sociale e di promozione del territorio. Ed è evidente che la politica deve tenerne conto, varando provvedimenti che vadano incontro alle rispettive esigenze.
Da parte loro i ristoratori devono metter fine agli atteggiamenti furbetti e poco onesti e trasparenti. E poiché non sempre basta la “mano invisibile del mercato” per eliminare chi si comporta male, tocca alle associazioni di categoria isolare i troppi furbetti del settore. Evitando di ripetere gli errori compiuti da Confindustria con la difesa d’ufficio di troppi cialtroni coinvolti in scandali e processi. Favorendo, al contrario, le occasioni di incontro. A due, a 4, in grandi tavolate. Perché ha ragione Parisella: a tavola si socializza davvero. Si stringono accordi, nascono amori, si cementano amicizie.
La situazione più complicata è quella dei bar. Eccessivamente numerosi nelle grandi città. Privi del ruolo di aggregazione sociale richiamato da Parisella. Più attenti a fare concorrenza alle trattorie sfornando pasti non sempre di qualità per la pausa pranzo degli impiegati degli uffici di zona. Oppure trasformati in aperitivifici che fanno pagare ghiaccio ed un dito di Aperol o Campari come se fosse una magnum di Dom Pérignon. In mezzo al guado, dunque. E lo si capisce dai continui cambi di gestione.
Manca la fidelizzazione della clientela. Con le bande di giovani che si spostano non solo da un locale all’altro ma da un quartiere all’altro per seguire le logiche di una movida itinerante, legata ad interessi di speculatori immobiliari. Resistono i bar che sanno andare oltre. Che si trasformano davvero in punti di incontro per la gente del quartiere. Che offrono un sorriso prima del caffè, che hanno una clientela che cambia in ogni fascia oraria e che sanno offrire qualcosa di diverso ad ogni fascia di età dei clienti. Mica facile.
Quanto agli hotel, l’offerta cambia radicalmente a seconda della località, della categoria, dei prezzi. C’è ancora chi riesce a vivere con una clientela affezionata che ritorna ogni anno nel medesimo periodo; chi punta solo sul turismo internazionale di passaggio; chi riduce prezzi e qualità; chi aumenta i prezzi e dimentica la qualità scommettendo sull’attrattività del luogo in cui sorge l’albergo; chi diventa il vero polo di attrazione in luoghi che non sanno promuoversi. In ogni caso è diventato più difficile, ma non impossibile, creare socialità in hotel la cui clientela è abituata all’isolamento nella realtà in cui vive per il resto dell’anno.
Ma la difficoltà vale per tutti. Perché il mondo intorno corre sempre. Spesso a vuoto, spesso inutilmente o in modo controproducente. E manca il tempo di socializzare. È stato tolto anche lo stimolo alla socializzazione. Ed a questo si sono aggiunti i prezzi insostenibili per famiglie che si sono impoverite. Quando Parisella era ragazzo bastavano pochi spiccioli per pagare un caffè, un gelato e per selezionare un disco nel juke-box. Così immense compagnie di giovani affollavano per ore ed ore i bar. Ora con pochi spiccioli non si paga neppure un bicchiere di vino mediocre ed il barista fissa malamente il cliente se, bevuto l’amaro calice, non si affretta ad andarsene.