Qualche volta anche i libri si sentono soli. Certo, per noi, ordinariamente, sono compagni della solitudine (per rubare il titolo ad un bel saggio di Stenio Solinas). E ci permettono di lenire le ore più difficili, i momenti di inquietudine. Il dolore. Ma questo è stato già scritto, e detto, da molti. E, certo, molto meglio di quanto potrei fare io.
Tuttavia, ben di rado ci soffermiamo a pensare alla solitudine dei libri. Perché non sono oggetti inanimati. Sempre ammesso che esistano davvero oggetti privi di una qualche anima. E qui mi verrebbe da tirare fuori una delle mie tante manie. Il don Juan di Carlos Castaneda, che trae consensi ed auspici (e risposte) da qualsiasi cosa. Una caffettiera che bolle sul fuoco, ed emette una sorta di fischio… cose così, solo in apparenza banali. Un oggetto, in effetti, viene sempre prodotto dalle mani, e dall’ingegno di un uomo. Che, così facendo, vi immette un quid tutto particolare. Arte, desiderio, necessità…speranza. Qualcosa che non è materiale. Quindi, pensieri ed emozioni. Quindi…anima…
Questo, naturalmente, era vero soprattutto per le opere artigianali. La produzione seriale, le macchine hanno indotto una progressiva alienazione negli oggetti comuni. Che, forse proprio per questo, durano meno. E ai quali diventa sempre più difficile affezionarsi. Usa e getta, insomma. Il marchio della nostra epoca…
Per i libri, però, è diverso. Il libro è incarnazione di pensiero, immagini, fantasie… Il libro non è un semplice oggetto. È la rappresentazione materica, e al contempo simbolica, di qualcosa che materiale non è. E che non è neppure riducibile al semplice mondo interiore di chi lo ha scritto.
Una volta pubblicati, i libri assumono una vita propria. E significati che vanno, spesso, molto al di là delle intenzioni dell’autore.
Ricordo, anche se non con precisione, che Harold Pinter disse del suo “Il guardiano” che lui aveva scritto una storia semplice. Il dialogo tra tre personaggi, ognuno dei quali si porta dentro la sua solitudine. E i suoi fallimenti. La critica vi aveva visto ben altro. Addirittura un, mascherato, dramma teologico… La cosa lo aveva lasciato stupito. Non ci aveva mai pensato. Tutto qui.
Ora, è ben vero che “Il guardiano” è un lavoro teatrale. E per il teatro vale, sempre, la regola (chiamiamola così per mancanza di altri termini) espressa da Pirandello nei suoi “Sei personaggi in cerca di autore”. Tuttavia lo stesso discorso, se ci riflettete, si può applicare ad ogni libro. Che altro è la critica, l’emeneutica letteraria se non la riprova della vita, dell’anima autonoma dei libri? Quante diverse “letture” sono state date della Commedia? Credo che se avessimo la macchina del tempo, e andassimo a raccontarlo a Dante, anche lui ne resterebbe stupefatto.
E così mi è venuto in mente che anche i libri possono sentirsi soli. Forse perché mi sento solo io, in questo risveglio che ancora precede l’aurora. Forse perché penso a gran parte della mia biblioteca che giace, ancora, in degli scatoloni chiusi in un magazzino…
E forse perché, come spesso mi accade, penso a Borges. Alla sua ossessione per i libri. Per le grandi, immense, immaginarie biblioteche….
I miei libri devono sentirsi soli in quel buio umido… O forse si fanno compagnia. In modo strano. Perché sono stati imballati tenendo conto delle dimensioni. E non del contenuto. Così, se dialogano fra loro, (come voglio immaginare accada) le conversazioni devono essere ben strambe. L’Organon di Aristotele accanto a “Zio Fred in primavera” di Woodhouse…Che mai potranno dirsi?
Parleranno, forse, del secondo libro della Poetica, quello incentrato sulla Commedia e l’arte comica…. Perduto, come ci racconta Umberto Eco…
E che potrà dire al Capitale di Marx, “La tradizione ermetica” di Julius Evola? O “La scatola rossa” di Rex Stout ai “Fiori del male” di Baudelaire?
Mah….
Certo, fantasie. Fantasie sulla solitudine dei libri. Quando ad essere veramente solo, in questa alba autunnale, sono io…