C’è un mito, o meglio l’immagine di un mito che mi ritorna frequente in mente. No, non è il solito mito greco… lo dico per tranquillizzare eventuali (molto ipotetici) lettori ormai esausti di sentirmi citare i greci qua, i greci là… di sentirmi dire che, alla fine, avevano già pensato tutto loro, e che noi siamo solo epigoni. E, spesso cattivi, commentatori…
Questo, di cui parlo, è invece un mito nordico. O, più esattamente, norreno, visto che viene dall’Edda, con tanto di sottofondo musicale wagneriano. Inevitabile, perché mi ricorda una scena della “Valkiria”, alla Fenice di Venezia. Tantissimi anni fa. Poco più che ragazzo, innamorato perso della potenza espressiva del grande musicista tedesco. Negli anni sarebbero subentrati altri musicisti. Altre armonie. Mozart, soprattutto. Quel tessuto di note che ti rischiara l’animo. Ma Wagner resta, comunque, per me l’espressione della forza. Una forza sovente cupa. Come un risuonare bronzeo…
Comunque, la scena della Valkiria. In cui Wotan spezza, con la sua asta di frassino, la spada di Siegmund. Condannando così a morte certa il suo stesso figlio. “In pezzi la spada!” tuona con voce profonda. Da basso-baritono.
E la spada va in pezzi. Toccherà a Sigfrido, figlio di Siegmund, rimetterla insieme. Saldarla di nuovo, nella fucina del Nano… E con quella stessa spada ucciderà, poi, il Drago. Immergendosi nel suo sangue… Nella memoria Hebbel si accavalla e sovrappone con la sua fosca poesia alla musica di Wagner…
Ma torniamo alla spada. Borgès dice che è un’estensione del braccio dell’uomo. Lo dice, però, per parlare d’altro, dei libri, se non ricordo male, come estensione della memoria… Ma certo sapeva perfettamente che la Spada non è solo uno strumento. È molto di più.
Pascoli, nella sua geniale traduzione della Ballata di Breùs dal bretone – sempre che sia davvero un tradurre, e non un inventare da un sogno – fa dire al Cavaliere, all’uomo tutto ferro, che è spada se hai vinto, croce se sei vinto…
Immagine filtrata dalla tradizione della cavalleria cristiana. E che, però, adombra una credenza molto più antica. L’identificazione tra la spada e l’anima del guerriero che la brandisce.
Per questo le Spade avevano un nome. I fabbri si può dire che le battezzassero. Durlindana, la spada di Orlando. Excalibur, quella di Artù. Solo le due più famose. Rese tali dalle Canzoni di Gesta, dai Romance, infine dai Poemi Cavallereschi del nostro rinascimento. Gli ultimi baleni di una sapienza che andava, ormai, sfumando nelle nebbie. Mentre si affermavano le bocche da fuoco, e anche la guerra cambiava radicalmente. Tecnica, nel senso moderno del termine. Non più Arte. In Giappone tale coscienza perdurò ancora. Tutta l’età Tokugawa. Hagakure ne è una delle, più rilevanti, testimonianze. Poi venne il Commodoro Perry. E la Restaurazione Meiji…
Tuttavia, l’immagine del fabbro che, nella fucina, forgia una spada, la arroventa alla fiamma e poi la tempra battendola sull’incudine, mantiene intatta la sua forza di suggestione. Perché quello non è un artigianato, È una forma, arcana e antichissima, di magia.
Il Fabbro è, per eccellenza, il sapiente. Colui che conosce i segreti dei metalli. E possiede l’incantesimo del Fuoco. Lavorando la spada, vi imprigiona uno spirito. E la lega inscindibilmente a colui che la dovrà brandire. Se la spada si spezza, è l’anima del guerriero che viene spezzata. E non è casuale che, in molte saghe e leggende, il guerriero stesso, in punto di morte, spezzi la spada. Perché non cada in mano al nemico. Che, possedendola, si impadronirebbe della sua forza. Gli ruberebbe l’anima. Moorcock ne ha dato una straordinaria interpretazione fantasy, venata di elementi gotici, nella saga di Elric. E Paul Anderson, forse il più grande, certo il più colto e raffinato autore del genere “sword e sorcery”, vi ha incentrato il suo capolavoro. “La spada spezzata”. Autori di genere, certo. Ma colti, anzi appassionati cultori di miti e leggende.
L’Arte della spada non è la moderna scherma. Non è tecnica. È, per il guerriero norreno come per il samuraj, per il Paladino come per il Cavaliere della Tavola Rotonda, diventare un tutt’uno con lo strumento. Una simbiosi interiore. Chè lo spirito della spada si trasfonde in lui. E la sua anima si fa acciaio. Mishima lo intuisce, con la sensibilità del poeta, in quel testamento spirituale che è “Sole e acciaio”. Poco prima di liberare il suo spirito con l’acciaio della spada. E di volare verso il Sole. Libero.