Adelina ti racconto una storia.
Quando ero una ragazzina abitavo all’ultimo piano di un antico palazzo del centro di Padova.
Sopra di me viveva, da sola, una anziana signora di nome Adelina.
Eri tu.
Il tuo miniappartamento confinava con la mia vecchia enorme soffitta, dove organizzavo le feste con gli amici e i compagni di scuola.
Pur avendo un carattere duro eri sempre disponibile e premurosa con me.
Chissà cosa ci trovavi in questa pazza ragazzina!
Sta di fatto che sentivo che avevi un occhio speciale per me. Forse sapendo che ero rimasta orfana non passava giorno senza che suonassi il campanello per chiedermi se c’era qualcosa da fare tra le innumerevoli incombenze della vita.
Avevi lavorato come maschera in un vecchio cinema di Padova, il Cinema Corso, che era proprio davanti alla mia casa.
A volte mi portavi a vedere quegli strepitosi vecchi film con Bud Spencer e Terence Hill, che apprezzo più ora di allora, in cui tutto mi sembrava nuovo, ma in fondo normale e indifferente.
Ti fermavi sul mio pianerottolo o salivo io, a volte a parlarti di tutto.
Vita, piccoli sogni, amori, primi tacchi, dolci, cucina, scuola, il mio mondo.
Preparavamo insieme i crostoli a carnevale con la ricetta di mia nonna, che era stata tua amica.
Fumavi a volte, ma ti sentivo serena e in pace nella tua solitudine.
Ricordo quando ti sei comprata la televisione nuova.
Sono stata la prima a salire in soffitta a vedere questo enorme schermo, del tutto sproporzionato alla tua minuscola casa.
Non ho mai saputo molto della tua vita, il presente era l’oggetto di discussione, ma so che hai dato molto alla mia età ignara.
La percezione che l’affinità non ha età, né confini.
La mia camera da letto era situata proprio sotto la tua stanza, per cui bastavano due tre colpi perché capissi se c’era bisogno di salire.
Così, quando ti sei ammalata, avevamo messo un allarme che si poteva attivare quando ti sentivi male, in modo che io potessi chiamare i necessari soccorsi in qualsiasi momento.
E così è successo.
Una notte in cui stavo ad ascoltare, l’allarme è suonato e una autoambulanza ti ha portata via.
Ricordo perfettamente il tuo letto di ospedale e l’esatto momento nel quale, nel tuo tranquillo saluto, ho percepito la definitività.
Quello che non avrei mai immaginato è che avessi pensato a me.
L’ho scoperto tempo dopo quando i tuoi parenti mi hanno portato una vecchia cassettiera dei primi del novecento che avevi disposto di lasciarmi.
E’ qui con me ancora oggi e la guardo ogni giorno, col suo sapore antico che amo e che mi riporta a noi.
Non se ne incontrano tutti i giorni di“Adeline”.
Quindi se mi capita di incontrarne una, non posso che interpretarlo come un messaggio di amore che la vita mi riserva.