Cristoforo Colombo fu un importante esploratore italiano responsabile di innumerevoli scoperte geografiche tra il XV e il XVI secolo. La sua fama, come tutti sanno, deriva dalle scoperte che portarono gli europei al Nuovo Continente.
Chi era Cristoforo Colombo
Cristoforo Colombo nacque a Genova nell’agosto 1451, primogenito di quattro figli. I genitori erano liguri, dapprima proprietari di un’azienda tessile e, dopo il trasferimento a Savona, di un’osteria. Ad appena 14 anni Cristoforo iniziò a navigare e maturò una passione per il mare che lo fece diventare molto presto capitano di navi mercantili. Durante i propri viaggi di lavoro, il giovane Cristoforo cominciò a sospettare che ci fosse una terra, oltreoceano. Il marinaio, però, era convinto che tale continente fosse l’Asia, e che si potesse raggiungerla con una rotta diversa da quelle conosciute.
I primi viaggi di Cristoforo
Il giovane Cristoforo intraprese la carriera di marinaio dapprima al servizio di Renato d’Angiò e, successivamente di altre note famiglie genovesi quali Centurione, Di Negro, Imperiali e Spinola. Durante questi lavori Cristoforo intraprese un vero e proprio apprendistato da mercante ed ebbe così l’opportunità di viaggiare in Grecia, Portogallo, Inghilterra, Irlanda e Islanda. Divenuto mercante a tutti gli effetti, decise di occuparsi solo dei commerci della famiglia Centurione, motivo per il quale si trasferì a Lisbona – nota città marinaresca – in cui il fratello lavorava come cartografo. Nel 1480 Cristoforo sposò la nobile italo-portoghese Filipa Moniz Perestrello; dalla loro relazione amorosa nacque Diego, unico figlio di Colombo che divenne, a sua volta, esploratore.
Il sospetto di Cristoforo Colombo e gli studi
Cristoforo Colombo maturò lentamente ed esponenzialmente dentro di sé l’idea che al di là dell’Atlantico ci fosse qualcosa. A spingere la sua curiosità al di là dell’Oceano ci furono dapprima le carte geografiche del fratello ed ovviamente una serie di avventurosi racconti marinareschi riguardanti dei “reperti sospetti” trovati a largo delle coste dell’Atlantico.
Tali reperti sarebbero stati pezzi di legno e rudimentali canne da pesca. A Lisbona poi, Cristoforo iniziò a consultare testi geografici appartenenti a vari esploratori, ma in base alle ricostruzioni sembra che fu un trattato composto da una serie di epistole ad incidere sulle convinzioni di Colombo.
Colombo e l’Asia, i calcoli erronei
Lo studio delle carte nautiche di cui l’esploratore disponeva fomentò la sua fame di conoscenza, assieme ai racconti di marinai. A seguito dello studio del menzionato trattato “Imago Mundi“, Colombo arrivò ad avere un’idea completamente sbagliata della rotta verso le Indie. In tale trattato infatti si sosteneva che l‘Oceano Atlantico non avesse grandi dimensioni e che la rotta lungo il parallelo di Lisbona fosse la più breve per raggiungere l’Asia. Questo scritto si basava su delle stime fatte dal filosofo Posidonio di Apamea, il quale riteneva il la Terra fosse di un quinto più piccola rispetto a ciò che conosciamo noi oggi.
Colombo arrivò pertanto a sottostimare la distanza tra Portogallo e Giappone, e così anche la misura della circonferenza terrestre. A seguito dei suoi calcoli erronei, complici anche di scarse conoscenze scientifiche, pensò che avrebbe dovuto navigare solo per 4000 km; il percorso effettivo durò circa quattro volte tanto.
In ginocchio dinanzi a Isabella di Castiglia
Cristoforo Colombo era certo di avere dei sospetti fondati e, speranzoso di trovare chi li condividesse e finanziasse, si recò dapprima dal re Giovanni II del Portogallo – che rifiutò la proposta – e successivamente a Siviglia. Dopo la morte della moglie Colombo iniziò affannosamente a cercare qualcuno che supportasse la sua idea; l’esploratore si recò al cospetto di diversi personaggi illustri portoghesi, francesi ed inglesi che lo ritennero uno stolto prima di trovare qualcuno che lo finanziasse.

Dopo 7 anni d’attesa, nel 1492 Colombo raggiunse il proprio “limite di sopportazione” e tramite l’aiuto del padre Pérez, confessore personale della regina e del vescovo Geraldini (entrambi amici di Colombo), l’esploratore ottenne una nuova udienza. Inginocchiatosi dinanzi ad Isabella di Castiglia, Colombo ottenne il suo sostegno, ma non senza difficoltà. Il genovese avanzò infatti delle condizioni specifiche ai reali spagnoli: voleva avere il titolo di ammiraglio; divenire viceré delle terre scoperte; avere il diritto di detenere il 10% di tutti i traffici commerciali futuri. Dapprima i reali ritennero eccessive tali condizioni, Colombo allora se ne andò ma venne subito richiamato a corte: le richieste sarebbero state accettate solo in caso di esito positivo del viaggio.
Le tre caravelle e i marinai
Le trattative durarono mesi e si finalizzarono nel contratto “Capitolaciones de Santa Fe” che stabiliva che la Corona di Castiglia avrebbe finanziato l’armamento della flotta. La somma? 2.000.000 di maravedì (moneta del tempo spagnola) per un equivalente attuale di circa 40.000 euro. A questo punto, nel maggio 1492, si passò all’allestimento delle tre famose caravelle – dalla più piccola alla più grande – la Niña, la Pinta e la Santa Maria (nave ammiraglia, capitanata da Colombo stesso).
Per un’impresa così, ci volevano anche dei marinai validi, ma reclutarne un centinaio in poco tempo non era affatto semplice; a questo scopo Colombo si fece aiutare da Martín Alonso Pinzón, armatore delle navi e vice-comandante, e si decise che a chiunque avesse partecipato si sarebbero rimosse pendenze civili e penali. Così, si concluse la formazione della flotta.

Verso l’Asia – o forse no
Il primo viaggio di Cristoforo Colombo
Il primo viaggio di Colombo fu, inizialmente, un fiasco. Salpato il 3 agosto 1492 dalla Spagna, dopo tre giorni si ruppe il timone della Pinta. Il sospetto era che qualcuno l’avesse sabotato. Lo scalo alle Canarie, in attesa che avvenissero le riparazioni alla nave, durò un mese. A settembre l’esplorazione ripartì, sospinta dai venti alisei.
Dopo settimane di navigazione senza intravedere la terra, i marinai divennero irrequieti e dopo circa venti giorni dalla partenza qualcosa accadde: la bussola indicava una declinazione magnetica imprevista. A questo punto vi fu un tentativo di ammutinamento, ma Colombo riuscì a strappare un accordo: prevedeva di avvistare terra entro tre o quattro giorni oppure di tornare indietro. Ad ottobre i marinai avvistarono un fiore fresco e dei bastoni galleggianti in acqua, il che poteva significare solo una cosa: terra ferma.
La scoperta dell’America
Il 12 ottobre 1492, un marinaio avvistò la costa. I marinai sbarcarono alle Bahamas e furono accolti dalla tribù pacifica del luogo. Il 27 ottobre, le caravelle raggiunsero Cuba e Colombo ne rimase estasiato, tanto che nel suo diario di bordo scrisse “è l’isola più bella che occhio umano abbia mai visto”. L’esplorazione si spinse verso Haiti ma La Santa Maria ebbe un guasto e si arenò a causa di un banco corallino. Il vice-comandate sembrò voler proseguire le esplorazioni da solo e Colombo, rimasto con una sola caravella promise all’equipaggio della Santa Maria che sarebbe tornato a riprenderli. Così fece.
Il secondo viaggio
Il 25 settembre 1493, Colombo ripartì verso quella che credeva fosse l’Asia, stavolta con 17 navi al seguito e 1200 uomini. A novembre raggiunse i Caraibi, le Antille e Porto Rico, fondando nuovi avamposti strada facendo. L’anno successivo, iniziarono i primi veri disastri; alcuni indigeni uccisero dei marinai, molti marinai inoltre si ammalarono a causa del cibo indigesto. Iniziarono le battaglie con gli indigeni – vinte dagli spagnoli – e Colombo, ammalatosi, decise di far ritorno in Spagna.

Il terzo viaggio di Cristoforo Colombo
Dopo due anni trascorsi in Spagna, Colombo volle far ritorno verso le Indie, “toccando” Capo Verde, le coste orientali del Venezuela. Nel 1499 a Santo Domingo scoppiò una rivolta capeggiata da un funzionario spagnolo. I reali inviarono Francisco de Bobadilla, inquisitore, a fare luce sui fatti. Colombo fu incatenato ed arrestato e successivamente, per ordine della regina, liberato ma costretto a rinunciare alla carica di viceré, che spettò a Nicolás de Ovando.
Il quarto viaggio
Nel 1501 Cristoforo Colombo partì per la quarta volta assieme al fratello Bartolomeo e al secondo figlio, appena tredicenne, Fernando. Colombo era invecchiato, e a tal proposito non poteva prendere il comando della nave che fu affidato a Diego Tristan. Scampato ad un uragano, Colombo raggiunse Nicaragua, Costa Rica e il Canale di Panama. A seguito di sanguinosi scontri con indigeni del luogo, in cui il fratello di Colombo e il comandante persero la vita, il genovese decise di andarsene. Sulla via del ritorno, Colombo incappò nelle Isole Cayman e sbarcò, poi, in Giamaica.
Cristoforo Colombo viceré
Numerose furono le accuse di tirannia e brutalità che i sottoposti di Colombo lamentarono nel corso dei viaggi. Già al termine del terzo, infatti, l’esploratore dovette rinunciare al titolo di viceré. Sembra, infatti, che le lamentele riguardassero i tre fratelli Colombo: Cristoforo, Bartolomeo e Diego; i tre erano accusati di fare spesso ricorso a tortura e mutilazione degli arti per governare la loro colonia principale – Hispaniola. Secondo diverse testimonianze appartenenti ad amici e oppositori di Colombo, l’esploratore sterminò in modi cruenti diversi nativi. Inizialmente, l’italiano diede il via a delle repressioni violente a seguito delle quali fece sfilare i corpi mutilati dei nemici per scoraggiare gli indigeni a ribellarsi.
Sembra dunque che Colombo fosse un precursore, nemmeno troppo dissimile, dei conquistadores spagnoli che gli fecero seguito. Ambizioso e testardo, spesso si oppose agli ordini dei reali di Spagna e spinse al limite i marinai; causò delle rivolte tra i suoi stessi uomini; maltrattò e schiavizzò i nativi sfruttando persone e risorse naturali sempre per una “giusta causa”: scoprire una rotta definitiva per l’Asia (convinzione che lo accompagnò sino alla morte avvenuta nel 1506 a Valladolid). Lo scrittore e storico David Stannard in “Olocausto Americano” scrisse di Colombo:
<< […] Provava anche un’intolleranza e un disprezzo tale per tutto ciò che non appariva e non si comportava come lui, per chi non credeva in ciò che lui credeva, che pensò che fosse accettabile imprigionare, rendere schiavi e uccidere le persone che non erano come lui. Fu la personificazione secolare di ciò che più di mille anni di cultura cristiana avevano creato. A questo punto, il fatto che abbia dato avvio a una campagna di orribili violenze contro i nativi dell’isola di Hispaniola non dovrebbe più sorprendere nessuno. Piuttosto sarebbe sorprendente se “non” avesse inaugurato la carneficina.>>
Colombo fu il primo a scoprire l’America?
Nonostante l’immaginario comune attesti a Colombo la scoperta dell’America, alcuni popoli prima di lui avevano provato a sospingersi verso il Nuovo Mondo.
Vichinghi
All’inizio del X secolo i vichinghi islandesi giunsero in Groenlandia e vi si insediarono, trovandola disabitata; pare che però non si fermarono lì ma si spinsero oltre. La questione dello sbarco in America del nord, largamente dibattuta dagli storici, getta le proprie fondamenta nella letteratura vichinga: nella saga di Erik il Rosso si parla di un viaggio oltreoceano verso una terra abitata da un popolo dalle fattezze diverse da quelle degli altri popoli. La descrizione degli abitanti del luogo, gli Skræling, corrisponderebbero alle prime descrizioni riguardanti i nativi americani fatte dagli europei in un secondo momento. Il sospetto dei vichinghi in America fu confermato nel 1961, quando in un sito archeologico in Canada alcuni studiosi rinvennero tombe vichinghe.
Fenici e Romani
Secondo quanto riportato su una stele ritrovata in Brasile nel 1872, alcuni marinai fenici sarebbero naufragati in Brasile durante il VI secolo a.C. a seguito di una tempesta. Dopo il naufragio, l’equipaggio avrebbe deciso di insediarsi in quelle terre sconosciute.
In alcuni mosaici romani compare un frutto particolare ad ornare le tavole aristocratiche: l’ananas! Il frutto, però, è originario dell’America e da ciò si potrebbe supporre che i romani fossero a conoscenza delle vie marittime utili a raggiungere il Nuovo Mondo. I romani, si sa, erano abili naviganti.
Le popolazioni asiatiche
Secondo l’opera scientifica “The First Americans” le antiche popolazioni che dominavano l’Asia sfruttarono lo stretto di Bering per raggiungere l’America. Durante l’Era Glaciale tale istmo era largo circa 1600 km e circa 15000 anni fa collegava Alaska e Canada.
Nonostante, dunque, a Colombo non si possa attribuire, a posteriori, la vera e propria scoperta dell’America, nessuno prima di lui impattò così tanto sulla storia del Nuovo Mondo. In ogni caso, a Cristoforo Colombo va sicuramente attribuito il “merito” di avere colonizzato l’America.