Richiesta di rinvio a giudizio,. Nonostante gli ostacoli alle indagini da parte delle autorità egiziane. Questa è la posizione della Procura di Roma nei confronti di quattro agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Sull’uccisione del giovane ricercatore rimangono ancora oggi numerose ombre. La famiglia Regeni, assieme a numerose associazioni per i diritti umani, continua a mantenere vivo il ricordo di Giulio e a chiedere al Governo di arrivare alla verità sulla sua morte. Oggi più che mai, L’Italia e l’Unione Europea stanno esortando fermamente le autorità egiziane a collaborare e fornire gli indirizzi di residenza dei quattro imputati.
Un riassunto della storia di Giulio Regeni
Il 28enne ricercatore di origine friulana, arrivato al Cairo per condurre ricerche per il suo dottorato a Cambridge, si stava dedicando ai sindacati indipendenti egiziani. Un tema abbastanza delicato in un regime autoritario.
Facciamo un breve ripasso storico. A partire dal colpo di Stato del 1952, l’Egitto ha visto al governo quasi esclusivamente regimi militari. Dopo una breve parentesi “democratica” all’indomani della rivoluzione egiziana del 2011 – nel contesto delle c.d. “Primavere Arabe” – il potere è presto tornato in mano ai militari. A capo del regime c’è il generale Abdel Fattah Al-Sisi, uno dei leader il cui operato è più dibattuto in Europa ed in Occidente, presidente in carica dal 2013.
In questo contesto, l’attività sul campo di Regeni fece guadagnare ben presto al giovane ricercatore l’attenzione degli apparati di sicurezza locali. Regeni scomparve la sera del 25 gennaio del 2016. Il suo corpo, con i segni di terribili torture, fu ritrovato il 3 febbraio. Nonostante i buoni propositi, la disponibilità a collaborare da parte delle autorità egiziane fu presto smentita, presentando prima ricostruzioni improbabili sull’accaduto, e ostacolando poi le indagini italiane. Il dossier delle autorità egiziane, infatti, fu giudicato carente e incompleto, nell’informativa del 5 aprile 2016 dell’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni resa al Parlamento sul caso di Giulio Regeni.
Secondo i detrattori di Al Sisi, quanto avvenuto al ragazzo italiano è esempio di come le forze dell’ordine operino in modo repressivo in Egitto da quando l’ex generale è diventato presidente. Lo stesso Al Sisi ha risposto alle accuse sostenendo il non coinvolgimento dei propri apparati di governo. La mancanza di trasparenza nell’inchiesta è un punto fermo. Eppure, a distanza di 5 anni dalla scomparsa del giovane ricercatore italiano, qualche passo avanti è stato fatto.
Come procede il caso giudiziario di Regeni
Giovedì 10 dicembre 2020, la Procura della Repubblica di Roma (competente per reati in danno di italiani all’estero) ha chiesto il rinvio a giudizio di quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni. Gli imputati sono uomini di servizio: il più alto in grado è il generale della Polizia presso il Dipartimento di Sicurezza Nazionale, Tariq Sabir. A seguire ci sono il colonnello Athar Kamel, il colonnello Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif.
Dei quattro funzionari della National Security Agency egiziana accusati di aver rapito il ricercatore italiano, Magdi Sharif è l’unico su cui le accuse di sequestro di persona si sommano a quelle di omicidio volontario aggravato e di lesioni gravissime. Ciò si legge nel capo di imputazione che ha chiuso la fase delle indagini preliminari. Non è stato contestato il reato di tortura perché nel nostro ordinamento è stato introdotto solo nel 2017, successivamente alla scomparsa di Regeni. L’archiviazione, invece, era stata sollecitata per l’ufficiale Mahmoud Najem, nei cui confronti «non sono stati trovati elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l’accusa in giudizio».
Le ricostruzioni della procura
Le accuse sono arrivate due anni dopo che la Procura italiana aveva inserito i militari nel registro delle notizie di reato. E prima che scadesse il termine massimo consentito dalla legge italiana per l’incriminazione formale. Secondo la ricostruzione dei magistrati italiani, il ricercatore friulano avrebbe subito violenze perpetrate per «motivi abietti e futili con crudeltà che hanno provocato la perdita permanente di più organi». I magistrati sostengono che Regeni abbia subito sevizie con «acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni attraverso strumenti affilati e taglienti e di azioni con meccanismo urente». Torture che hanno causato «lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori».
Le richieste sono state formulate dal procuratore capo Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco. Lo scorso 10 dicembre, i due magistrati avevano notificato la chiusura delle indagini agli avvocati d’ufficio italiani degli indagati, non essendo mai pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati dalle autorità del Cairo. Il ruolo dell’Intelligence egiziana in questa vicenda era stato ricostruito minuziosamente dai carabinieri del Ros e dei poliziotti dello Sco. Poichè non sono intervenuti «fatti nuovi» dopo la notifica dell’avviso di conclusione dell’inchiesta, i magistrati hanno depositato la richiesta di rinvio a giudizio negli uffici del GUP.
Ipotesi della fissazione dell’udienza preliminare in primavera
L’udienza preliminare per decidere sul rinvio a giudizio potrebbe avvenire in primavera. Di fronte al giudice dell’udienza preliminare si potrebbe aprire la questione legata alla mancanza di elezione di domicilio degli imputati. E, quindi, all’assenza degli imputati stessi. I quattro ufficiali al momento risultano, infatti, irreperibili.
E’ noto come le autorità del Cairo abbiano sempre rifiutato di fornire gli indirizzi di residenza, nonostante la rogatoria internazionale e le richieste formulate dagli investigatori italiani. Il GUP, infatti, dovrà affrontare il tema oggetto di rogatoria della Procura di Roma firmata nell’aprile del 2019 (e più volte sollecitata nel corso degli incontri con le autorità egiziane).
Se la posizione delle autorità egiziane non dovesse cambiare, nell’udienza preliminare verrà in gioco la legittima vocatio in iudicium dell’imputato, ossia la necessità che l’indagato sia a conoscenza del procedimento e che possa recarsi, se vuole, all’udienza preliminare. Il GUP dovrà, quindi, controllare la regolarità degli avvisi sulla base delle regole che regolano le notificazioni per l’imputato.
La regola che il legislatore italiano ha voluto introdurre con la legge del 28 aprile 2014, n. 67 è quella della sospensione del processo nei confronti degli irreperibili. Detto in altre parole: nell’ordinamento giudiziario italiano, non sussiste la possibilità di procedere in assenza quando non vi sia la ragionevole certezza che l’imputato abbia avuto un’effettiva conoscenza di un procedimento a suo carico. Nel caso specifico, il giudice dell’udienza preliminare, però, potrebbe procedere ugualmente valutando come decisiva la rilevanza mediatica della vicenda riscontrata anche in Egitto e la diffusione dei nomi degli imputati.
La risoluzione del parlamento europeo sul caso Regeni
Nella risoluzione del 18 dicembre 2020 sulle violazioni dei diritti umani in Egitto, in cui si fa riferimento a Giulio Regeni e Patrick George Zaki, il Parlamento Europeo ha chiesto un’indagine indipendente e trasparente su tutte le violazioni dei diritti umani nel Paese, per assicurare che i responsabili delle violazioni siano chiamati a risponderne.
I deputati hanno condannato la crescente repressione in atto in Egitto per mano delle autorità statali e delle forze di sicurezza egiziane. I parlamentari europei hanno chiesto all’UE di esortare le autorità egiziane a collaborare e fornire gli indirizzi di residenza dei quattro agenti indagati, come richiesto dalla legge italiana, e hanno espresso «sostegno politico e umano» alla famiglia Regeni nella ricerca della verità. I deputati sottolineano infatti come questa sia un «dovere imperativo delle istituzioni nazionali e dell’UE», chiamata ad adottare inoltre le azioni diplomatiche necessarie. Quanto a Zaki, hanno richiesto la scarcerazione immediata.
Intanto sulla tragica vicenda di Giulio Regeni è intervenuto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio:
“Il 25 gennaio, la tragica data dell’anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, c’è il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea. Porteremo la discussione su Giulio Regeni in quella sede e lavoreremo alla discussione che permetterà a tutti gli Stati membri di prendere posizione”.
Anche la vice ministra degli Esteri Marina Secchi assicura che «il processo in Italia comunque si farà».
I rapporti commerciali tra l’Italia e l’Egitto
Da alcuni anni i rapporti tra Italia ed Egitto tornano spesso sotto i riflettori. Fra i temi più caldi che hanno acceso il dibattito pubblico italiano figurano il caso Regeni, l’imprigionamento di Patrick Zaky e la recente autorizzazione di vendita di navi militari italiane alla marina egiziana.
L’Italia è oggi il primo partner commerciale dell’Egitto fra i Paesi europei. E il terzo partner commerciale nel mondo. Nel 2015, dopo la scoperta dell’enorme giacimento di gas naturale a Zohr (considerata la più grande mai effettuata nel Mediterraneo), i rapporti si sono rafforzati ancor di più. La gestione di tali pozzi, infatti, è appannaggio di ENI. Di conseguenza, l’Italia ha acquisito un asset strategico di grande rilevanza. Ciò in ragione del grande fabbisogno energetico del nostro Paese e della necessità di garantirsi varie fonti di approvvigionamento.
Nonostante il caso Regeni, negli ultimi anni Italia ed Egitto hanno visto impennare il loro volume di affari per armamenti. Secondo un report della Rete Italiana per il Disarmo, nel 2019 l’Egitto era il primo Paese per autorizzazioni alla vendita di armi italiane. Il volume di vendita è stato di 879 milioni di dollari in armamenti. E pensare che appena un anno prima, Il Cairo occupava la terza posizione di questa classifica, con autorizzazioni per 69 milioni. Nel 2017, invece, la cifra autorizzata ammontava ad appena a 7,4 milioni.
I Regeni denunciano il Governo italiano
Stando così le cose, qualche presa di posizione esplicita era inevitabile. La famiglia di Giulio Regeni ha intrapreso un’iniziativa giudiziaria senza precedenti contro il Governo italiano. Due sono stati i motivi principali di tale azione. In primis, la consegna della prima delle due fregate Fremm vendute da Fincantieri al Cairo. In secundis, la discordia della Procura egiziana rispetto alle indagini condotte dalla Procura di Roma. I genitori di Regeni denunciano l’esecutivo per violazione della legge 9 luglio 1990, n. 185 sulla vendita di armi a Paesi «i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertati dai competenti organi dell’Ue, dell’Onu e del Consiglio d’Europa».
Un taglio netto di ogni rapporto con l’Egitto sarebbe una soluzione dannosa per gli interessi italiani: quale politico sarebbe disposto a compiere una tale scelta? Nessuno. E gli egiziani lo sanno bene. Così, il governo italiano dal 2016 ad oggi ha dovuto opportunamente bilanciare la scelta fra principi morali ed interessi economici. Mentre la Procura, sempre più tenace, va avanti sul piano giudiziario in cerca di verità e giustizia.