Lo so…è un tema che ho già toccato. E non una volta sola. Ma che ci volete fare? Mi torna sempre di nuovo in mente, se scorro le notizie su internet o sulle pagine di un giornale… E ogni volta, mi viene in mente qualcosa che mi sembra di aver tralasciato. Un non detto. Un concetto incompiuto.
“È che hai una certa età…” dirà il direttore. Come se lui fosse un ragazzino…
Può darsi. Come può darsi che proprio lo scorrere, inesorabile, degli anni mi abbia insegnato a guardare alla, cosiddetta, Storia con un maggior distacco. Con una vena di…diciamo scetticismo. Nel senso originario del termine, però. Perché deriva dal greco “skopèo”. Guardare, scrutare. Senza pregiudizi. Ovvero senza formarsi un giudizio a priori. Lasciando che siano le cose a parlare. A raccontarci, appunto, le loro storie.
Inevitabilmente plurali. Perché le storie sono molte. Almeno quanti gli uomini che le vivono. Che intrecciano i loro destini. E che cercano, talvolta, di raccontarle. Per dare loro un senso. Per dare una qualche ragione alla vita che hanno vissuto.
E siccome di storie, ovvero di narrazioni, si tratta, non conta la verità, bensì la capacità di persuasione. E chi la esercita sulle masse.
Si potrebbe, forse, dire che è la conferma di quanto sostenuto, a suo tempo, da gente strana – Schopenhauer, Pirandello… – che la realtà di per sé non esiste. È solo una grande illusione – il Velo di Maya, tratto dalla tradizione brahmanica – condensato nel minimo Comun denominatore delle rappresentazioni soggettive.
Pertanto, chi è in grado di manipolare questo complesso di rappresentazioni, può riuscire a far vedere agli altri come reale, storico, qualcosa che non esiste. E che mai è esistito.
Ma, appunto, se la realtà è soggettiva, il suo fondamento concreto non conta. O, più semplicemente, non esiste.
Certo che le implicazioni di questo sul piano politico sono molto, ma molto problematiche.
Prendiamo la questione della Ucraina. Se si chiede, anche ad un italiano di buona cultura, cosa pensi della situazione, nove su dieci ci si sente rispondere che la Russia, quando era URSS, ha occupato e oppresso il paese confinante, togliendogli libertà e indipendenza. E che ora vuole farlo di nuovo.
E questo ve lo direbbe sia la pasionaria che urla “Slava Ukraina!”, sia il distinto dottore che ritiene erroneo implicare l’Italia in quella guerra. E che magari, sotto sotto, nutre una qualche simpatia per Putin.
A nessuno dei due, però, verrebbe in mente che ciò che dicono è semplicemente, e assolutamente falso. Una narrazione costruita artatamente negli ultimi due decenni. Che falsifica la storia del paese.
Perché l’Ucraina non è mai stata una entità, politica e culturale, indipendente dalla Russia. Se non tra il 1918 e il 1920. Nella tragedia della rivoluzione. Raccontata, mirabilmente, da Bulgakov ne “La guardia bianca”. E Bulgakov era di Kiev.
Anzi la parola Rus’ il primo principato, da cui si sviluppò, poi, l’impero degli Zar, ha origine proprio a Kiev. Ed erano ucraini, per altro, molti dei leader sovietici, da Trotsky a Breznev. Da Lenin, di madre Ucraina, a Kruscev.
L’URSS ha, indiscutibilmente, oppresso molti popoli. Togliendo loro libertà e indipendenza antica. Ungheresi, rumeni, ceki, polacchi… Non l’Ucraina che era da sempre parte dell’impero. E la tragedia che portò a morire milioni di contadini ucraini, non ha a che fare con l’oppressione della indipendenza. Ma con la follia dei piani quinquennali, che misero alla fame anche i russi e tutti gli altri popoli soggetti ai Soviet. Stalin, per altro, era georgiano. Di madre Osseta. Non russo.
Ma questo non conta. Conta, invece, la narrazione che, da vent’anni, è stata imposta. In primo luogo agli ucraini stessi. Un’intera generazione cresciuta nel mito di essere di altra razza. Superiore. Di noi avere nulla in comune con i russi. Vietando addirittura l’uso e lo studio della lingua russa. In cui si sono sempre espressi i grandi poeti e scrittori della Ucraina.
Un po’ come se, in Friuli, si vietasse l’uso dell’italiano… E il Friuli ha una tradizione di autonomia ben più antica. E radicata.
E ora questa narrazione imposta a livello globale. Che falsifica ogni realtà. E che viene accettata come vera in forza del bombardamento mediatico. Di una informazione che non informa, ma genera una realtà alternativa. Un intreccio di storie distopiche.
Quella che stiamo vivendo, è, in realtà, proprio una narrazione distopica. Come in un, astruso, romanzo di fantasy. Solo che l’autore, o meglio gli autori, non firmano l’opera in copertina. Restano celati. E osservano con sguardo (forse) alieno, (forse) inumano, questo colossale Truman Show. Che sta producendo decine di migliaia di morti e che potrebbe diventare una catastrofe globale.
Ma che resta, in fondo, una pupazzata in un teatro di cartone. Una narrazione artificiale.