Sessantacinque anni fa, Walter F. Otto, uno dei più importanti storici delle religioni del Novecento, nonché filologo classico di straordinaria cultura e raffinatezza, pubblicava un libricino dal titolo “Teophania – Lo spirito della religione grecoantica” pubblicato qualche settimana fa per la prima volta in Italia dalla casa editrice Adelphi con il titolo “Teofania” (pp. 174, €15).

In poche pagine – tradotte da Gianpiero Moretti, uno dei più importanti studiosi italiani del Romanticismo tedesco – Otto condensa il suo pensiero in merito alla vitalità della religione degli antichi greci, tesi espressa in modo ben più largo ed approfondito in altre opere delle quali una sola è stata tradotta e pubblicata in italiano nel 2004, vale a dire “Gli Dei della Grecia” (Traduzione di Giovanna Federici Airoldi, sempre curato da Giampiero Moretti con la collaborazione di Alessandro Stavru, Adelphi, pp. 343, €15).
Catalogato frettolosamente come antipositivista dal pensiero accademico, Otto si è sempre posto come sostenitore della realtà trascendente del Sacro, che secondo lui si è manifestata in maniera più evidente nelle religioni non rivelate, prima fra tutte quella greca e romana. Una realtà e una verità che si è manifestata in ogni forma dell’esistenza dei nostri progenitori.
“Come [è] possibile che i Greci – si domanda Otto – da noi considerati senz’altro come i fondatori e i maestri della cultura spirituale dell’Occidente, restino inascoltati proprio là dove si tratta della loro devozione religiosa?”. Quando leggiamo i testi antichi ci rendiamo conto che essi trasudano spiritualità in ogni loro manifestazione. Eppure, già nella tarda antichità, sull’influsso delle religioni orientali, il paganesimo genuino ha perso via via la sua energia, fino a essere ritenuto soltanto una fantasia. Per l’autore, invece, “gli dei non sono frutto di invenzioni, elucubrazioni o rappresentazioni ma possono soltanto essere sperimentati”. Un’esperienza metafisica che è possibile assaporare ancora oggi, in quanto il Mito è eterno e si manifesta ancora a noi a patto che riusciamo ancora a coglierlo nella sua pienezza.

Lo strumento, secondo Otto, è l’avvicinarsi ai testi antichi tenendo conto che nulla di quanto fu prodotto dalla Grecia classica può essere compreso a prescindere dalla religiosità che ne permeava ogni produzione, dalla filosofia al teatro, dalla poesia all’architettura, dalla politica alle gare che oggi chiameremmo sportive. Quei testi, quei monumenti, quelle storie che ancora oggi ci affascinano e ci commuovono trasudavano religiosità: anzi, non si possono comprendere a prescindere dal loro aspetto sacro. Si legga in proposito il capitolo dedicato alle Muse, o alla Musa, uniche divinità definite olimpiche insieme al loro padre Zeus. Per i Greci nessuna manifestazione dello spirito umano è frutto dell’immaginazione dell’artista, anzi l’artista è solo lo strumento di cui si servono le dee per manifestare il divino per e attraverso l’uomo.
“Teofania”, dunque, non è un opera controcorrente nel senso che diamo comunemente a questo termine: è il frutto dell’elaborazione “scientifica” di un pensiero antimoderno, nel senso che si fa premura di affermare la “verità del sacro” contro un mondo secolarizzato che ne ha perduto del tutto il sapore e il profumo. Quell’essenza della vita che ci permette – o ci permetterebbe – di vivere in modo autentico.