Un saggio di Philippe Conrad, pubblicato per l’Istituto “Iliad” da Robert Steuker, figura di primo piano della Nouvelle Droite del tempo che fu. E oggi una delle più acute intelligenze critiche di questa Europa dissestata.
Un saggio sull’Afghanistan, definito, in modo incisivo, “tomba degli Imperi”. È un saggio storico. Molto ben costruito, elegante, documentato. Da leggere, se, come me, vi arrabbattate un po’ col francese.
Tuttavia questa non è una recensione. Si può, forse, recensire davvero un romanzo. Ma tentare di recensire un saggio, rischia di diventare solo un riassuntino. Per di più travisato.
Piuttosto, queste sono solo una sequenza di pensieri e, soprattutto, di immagini che tale lettura mi ha suscitato.
Immagini di altopiani immensi, circondati da cime innevate. Una natura aspra. Dura, come gli uomini che la abitano. E che con tale natura, certo non benigna, sono abituati a lottare. Uomini che, da sempre, portano la spada e il pugnale. Ai quali, nel tempo, si è aggiunto il fucile.
Una babele di lingue, di etnie dai tratti molto diversi fra loro. Gli Hasara che discendono dalle Orde mongole di Gengiz Kahn. I turchi Uzbeki, eredi della furia di Timur Lang. Tamerlano, il Signore zoppo di Samarcanda. I Tagiki, che vantano sangue Bactriano. E i temuti Pashtun, che seguono un codice d’onore che risale a molto prima che Alessandro Magno tentasse di domarli.
Terra di pastori guerrieri e cavalieri, selvaggia, posta in uno snodo cruciale fra diversi, e fra loro remoti, mondi. Il Grande Medio Oriente, che si estende dal Nord Africa mediterraneo sino ai confini del Pakistan. Le immensità delle steppe eurasiatiche, da cui giunsero i cavalieri turco – mongoli, e prima di loro gli Arya biondochiomati dei Veda. Le grandi pianure dell’Indo e del Gange, porta d’accesso alle profondità del Deccan. L’Impero di Mezzo, la Cina con la sua raffinata civiltà millenaria. E a sud l’accesso all’oceano, e lo stretto legame con la Penisola Arabica. Da cui vennero i guerrieri e, soprattutto, i predicatori che portarono sempre più ad oriente la nuova fede. L’Islam predicato dal Profeta tra le sabbie del deserto e le oasi verdeggianti. Che tra questi monti, però, conobbe impensabili nuove interpretazioni e declinazioni.
L’Afghanistan si trova al centro di tutto questo. Snodo cruciale, come dicevo. Che un po’ tutti nel tempo hanno cercato di controllare. E sottomettere. Gli Achemenidi del grande impero persiano, che riuscirono a imporre un dominio solo formale. Alessandro, che passò come una tempesta, di cui ancora quei popoli serbano memoria. E timore. I Seleucidi, che si dissanguarono per averne il dominio. Invano. Lo splendore del regno greco – bactriano, l’arte di Gandhara, sintesi di estetica greca e spiritualità buddhista. I Kushana e i Sogdiani eredi degli Sciti. Le Orde mongole e turche, Babur che da lì mosse alla conquista dell’India, fondando l’impero Moghul… Gli Zar di Russia e il Raj Britannico, che vi combatterono la guerra di ombre del Grande Gioco, cantata nei romanzi di Kipling. E poi i Sovietici, gli Americani..
L’Afghanistan ha ingoiato tutto questo. Restando se stesso. Gli altri, nel corso della storia, si sono sfibrati per cercare un controllo impossibile di quella terra aspra e, per molti versi, crudele. Senza riuscirvi, se non per brevi periodi. È un buco nero, qualcosa di anomalo sulla scena geopolitica e geostorica del mondo. Di un mondo che è in continua mutazione…metamorfosi vorticosa. Mentre L’Afghanistan resta lì, fermo. Come fuori dal tempo. Leggete quello straordinario libro che è “La via dell’Oxiana” di Robert Byron. Ti fa vedere come il fascino di quelle terre non appartenga, in fondo, a quella che siamo usi considerare la realtà. Ad un’altra dimensione, piuttosto. La dimensione della fiaba… feroce, crudele, come sempre sono le fiabe autentiche.
Possiamo trovare tutte le spiegazioni possibili al perché mai nessuna potenza sia riuscita a dominare davvero le terre afgane. E guardare anche con sufficienza, addirittura orrore, questi Talebani così primitivi, con i loro usi per noi assurdi. Incomprensibili. Feroci. Però dobbiamo capire che quelle terre sono nel nostro mondo. Ma non gli appartengono. Vengono da un altrove che non riusciamo a comprendere. E, forse, è un bene che sia così. Perché sta a dimostrare quanto sia tracotante ed assurda la pretesa di chiunque di instaurare un dominio totale. Lo Stato Universale e perfetto. Il sogno di Alessandro secondo il poema conviviale del Pascoli.
Uno Stato Universale, un unico modello sociale, è stato, e continua ad essere, il sogno di molti potenti. La cui Hybris li porta a credersi Dio.
Un sogno che, per i popoli, presto diventa incubo.
Per fortuna, allora, che c’è l’Afghanistan che, prima o poi, questi sogni divora. E fa crollare gli Imperi più orgogliosi.