Italia e Turchia si candidano per ospitare, insieme, i campionati europei di calcio del 2032. E probabilmente la candidatura avrà successo. Anche perché non ce ne sono altre. Nello sport, considerando i costi folli delle manifestazioni, non ci sono più le gare tra Paesi a colpi di mazzette e corruzioni varie. Olimpiadi, mondiali servono solo per ragioni politiche o di visibilità internazionale, come nel caso di Emirati ed Arabia Saudita. O della Cina.
Per il resto i Paesi europei non muoiono dalla voglia di contrastare Roma ed Ankara nella corsa agli Europei. Anche se la distanza tra i due Paesi non è il massimo per l’organizzazione dell’evento. Ma forse qualcuno si illude che possa bastare qualche partita di calcio per accontentare Erdogan nella sua richiesta di entrare nell’Unione europea. E, non a caso, proprio mentre veniva resa nota la candidatura congiunta, il governo turco ribadiva la richiesta di avviare i negoziati.
Perché la Turchia non è un piccolo stato marginale e non accetta di essere preso in giro dai politicanti di Bruxelles e di quelli dei vari governi europei al servizio di Washington. Gli sgarbi di Erdogan nei confronti di Putin devono essere ricompensati. E non in un futuro imprecisato.
D’altronde il servilismo europeo verso gli Usa ha creato le condizioni perché la Turchia rafforzasse il proprio ruolo nel Mediterraneo, e non solo. Erdogan ha giocato su tutti i tavoli ed ha determinato l’evoluzione della situazione in Libia, ma i turchi sono protagonisti anche in Siria. E trattano con Pechino mentre non rinunciano al dialogo con un offeso Putin.
Una situazione che penalizza l’Italia alle prese con la “postura” meloniana (ma chi le consiglia l’utilizzo dei termini inadatti?) a rimorchio degli USA. Perché, a fronte dell’immobilismo italiano, Ankara è perennemente in movimento. Ha scelto di essere svincolata da un padrone d’oltreoceano e diventa un perno tra Europa, Asia ed Africa. Capace di rinunciare alla tutela degli uiguri se ciò serve a migliorare i rapporti con Pechino. Capace di inviare le truppe in Libia e Siria per difendere i propri interessi. E, all’interno dell’Unione europea sarebbe l’unico stato con una simile capacità di movimento.