Che vestito mi metto?
Questa è la vera domanda esistenziale.
Viene prima di qualsiasi altra.
Me lo dimostrò mia figlia a 3 anni, nella scelta del vestito del matrimonio dello zio.
Impiegammo un pomeriggio per un abitino rosa che era una meraviglia.
Rigorosamente imposto da lei.
Nei casi ordinari, ma anche fuori dall’ordinario.
L’ordinario è nero per me.
Le mie ragioni lavorative mi hanno sempre spinto al nero come uniforme rassicurante, che non fa mai sentire fuori posto ed è sempre all’altezza dell’evento.
Il nero crea il giusto distacco quando è richiesta la forma.
Il nero è un’ombra e l’occhio alla luce e all’ombra è abituato.
Lo straordinario è nero per me.
Perché comunque è elegante.
Nero Estate, nero inverno, nero mattina mezzogiorno e sera.
Non dà nell’occhio per chi fin da bambina vuole giocare al “Sono invisibile sono invisibile”.
Nella quiete di se stessa.
E poi, se gli eventi sono imprevisti o anomali il nero costituisce un problema in meno.
Un’energia speciale, un insolito umore può farmi scegliere il fuori programma del colore.
Perché “Yellow is the colour of my true love’s hair”dice Donovan.
Eppure amo i colori.
Del mio giardino fiorito dalla primavera all’estate.
I colori accesi dei primi tulipani rossi e gialli, dei giacinti bianchi e viola dal profumo intenso, del mio glicine lillà vivo per miracolo grazie al mio giardiniere preferito, del pesco e delle mie ortensie dalle varie gradazioni di rosa, del mio iperico più giallo del sole.
E i verdi della giovane vegetazione e del sottobosco e quelli maturi dell’inverno, screziati di marrone.
E l’emozione dell’arcobaleno che illumina dopo la tempesta.
E il bianco della neve, il blu del mare e del cielo.
E i colori a tempera strisciati sulle tele ad imitare l’inimitabile natura.
E guardare gli altri indossare i colori come fantastici spiriti viaggianti.
L’arancio dei tramonti e del mio letto.
La mia casa è un tripudio di colori, la mia auto nera.
Li compro i vestiti colorati, ma per usarli di rado e guardarli sempre col desiderio di indossarli.
Ricordo ad una ad una le volte in cui ho deciso di mettere un colore.
Se riesco una volta, poi rimangono lì, adorati, ma scartati all’ultimo secondo.
Potrei fare la raccolta dei “backstage” di scelta vestito.
Il lungo corteggiamento del colorato, inevitabilmente scartato.
Un mistero?
Forse.
Però il vestito dell’ultimo saluto l’ho già scelto.
Lungo, azzurro come il cielo più terso, leggero come una nuvola estiva.
Forse è poco da bempensanti parlarne, lo capisco dalle reazioni che suscito ogniqualvolta affronto l’argomento, ma se vi è mai capitato di rovistare tra gli armadi di qualche caro defunto per trovare il vestito che avrebbe desiderato nell’ultimo viaggio forse mi potrete capire.
Meglio non lasciare ad altri questa incombenza.
Devo solo non ingrassare troppo in attesa dell’evento.
Ho dato disposizioni precise per questo oltre, ovviamente, che per le mie due gatte.
Il colore per l’Eternità.
E sono tranquilla, perché di certo non potrò cambiare idea all’ultimo momento.