Un vecchio film di Monicelli. Con la straordinaria accoppiata Giannini Montesano. Un, impagabile, cammeo di Gassman. Vittorio, naturalmente. Non il delatore da balcone. E una splendente Giuliana De Sio.
“I picari”. Film che non mi sembra avere avuto molto successo. Forse perché, al di là della bravura degli interpreti, era…troppo colto. Troppo raffinato. Ispirato ai romanzi picareschi. Un genere tutto particolare, proprio della letteratura spagnola.
Ed è proprio ai due, primi e per molti versi insuperati, romanzi del genere, che Monicelli si era ispirato. Perché Montesano interpretava il famoso Lazzarillo da Tormès. Rocambolesca vicenda di autore sconosciuto. Che cominciava con la vicenda di un ragazzino venduto dai genitori ad un mendicante cieco, perché gli insegnasse tutti i trucchi, più sordidi e infingardi, dell’onorata professione. E il mendicante, nel film, era Nino Manfredi. Come faceva il brutto, sporco e cattivo lui…
Giannini era, invece, Guzmàn de Alfarachne. Opera del fine ‘500, uscita dalla penna di Juan Alemàn, uno dei grandi narratori del Siglo de Oro. Un “mezzo giudeo”, come dicono i biografi. Che rivaleggiava in fama persino con l’immenso Cervantes.
Guzmàn è più violento, le sue truffe e beffe più crudeli. Ma Monicelli ha saputo amalgamare bene due opere distanti fra loro più di mezzo secolo. E ne è venuta fuori una vera sarabanda dei vicende e personaggi. Un fuoco d’artificio di trovate e situazioni.
Il motivo, però, per cui quel film, visto milte anni fa, mi torna in mente oggi, risiede tutto in una frase. Che Giannini ripete più volte, con aria pensosa, arricciandosi i baffi alla moschettiera.
“La vita è un Balocco”
Un Balocco…un giocattolo. Ma forse sarebbe più esatto dire gingillo, cosa di nessun conto.
Colui che si balocca, gioca, oziosamente, con le idee. E con le situazioni della vita. Forse è un po’ superficiale…più probabilmente guarda alle cose con una, inusuale, leggerezza. Forse non prende nulla sul serio…e per i più, questo, è un difetto. Ma sa trovare il lato buffo anche nella tragedia. Non fa drammi. Non si lascia risucchiare dalle comuni e quotidiane preoccupazioni. Che non significa non avere nulla che lo tenga occupato. Solo che non si pre-occupa. Ovvero non consuma nella paura l’impresa prima di compierla. Agisce. Con mente leggera. E poi…sarà quel che sarà…
Non per nulla chi la pronuncia, questa frase, è un picaro. Ovvero un avventuriero. Uno che vive alla giornata. Che prende le cose come vengono. Perché il suo destino è un Balocco, appunto. Nelle mani di non sa bene chi…e in fondo non conta. Perché il picaro non è religioso e non è ateo. Se avesse avuto una filosofia, questa sarebbe stata la patafisica. Ma anche una certa lettura francese di Nietzsche, probabilmente, non gli sarebbe dispiaciuta.
Picaro vuol dire briccone, furfante. E Bartolomè Palau, il primo ad usare el termine nella Farsa di Salamanca, lo definisce, non a caso, “matricolato”. Gli storici della letteratura spagnola lo considerano figura intermedia fra il Cavaliere medievale col suo senso dell’onore – la grande nostalgia di don Chisciotte – e il borghese. Col suo istinto del decoro. E dell’interesse economico.
Ma lui, il picaro, è diverso da entrambi. Plebeo nel midollo, ha però un suo senso della bellezza. E della poesia. Un fatalismo che lo penetra sin nelle ossa. E che, però, maschera sempre, anche sul patibolo, con l’ironia. Perché…la vita è un Balocco, appunto.
Mi affascina… È un eroe, forse un anti-eroe agli albori del nostro tempo. Gioca, sempre. Ma il suo giocare è molto più coerente, profondo, serio, della seriosa ipocrisia degli altri. Dei borghesi, che lo disprezzano, lo temono. Lo odiano. È tutto quello che loro non sono. Che non potranno mai essere.