La qualificazione del Marocco ai quarti di finale del Campionato mondiale di calcio non rappresenta solo un evento sportivo. Innanzitutto perché il successo è stato ottenuto ai danni dell’ex colonizzatore spagnolo. Ma si va molto oltre. Perché i mondiali in Qatar già sono un cambiamento epocale nella scelta della sede dei campionati. E poi l’esclusione dalla fase finale di squadre che hanno fatto la storia del calcio: non solo l’Italia, ma anche l’Ungheria, l’Austria. Ma, soprattutto, il Qatar ha offerto l’immagine di Paesi considerati calcisticamente marginali che hanno messo in difficoltà quelli che si credevano gli Dei del pallone.
Marocco ai quarti e Spagna a casa, dunque. Ma, ancor prima, a casa è andata la Germania con gli scarpini arcobaleno. A casa è andata la squadra statunitense nonostante i soldi investiti da decenni. Ed al Canada non è bastata la spocchia politicamente corretta del pessimo Trudeau. Mentre la Cina neppure è arrivata in Qatar. In compenso hanno ben figurato Giappone e Corea, oltre ad alcune nazionali africane che però non rappresentano più una novità. D’altronde trovare un giocatore europeo nelle nazionali di Francia, Inghilterra e Olanda è un’impresa sempre più improba.
Sembra quasi di assistere ad una nuova forma di decolonizzazione. Ad una nuova consapevolezza riguardo al declino di un Occidente in crisi anche nello sport. È la stessa consapevolezza che si era diffusa in tutto il resto del mondo dopo la vittoria del Giappone contro la Russia zarista all’inizio del Novecento. In realtà gli occidentali erano già stati sconfitti in precedenza. Ma avevano minimizzato o nascosto del tutto i disastri bellici. Come la fuga degli inglesi da Santo Domingo, sconfitti da una rivolta degli ex schiavi. O le sconfitte in Africa sempre degli inglesi, per non parlare di Adua.
Lo sport, in fondo, diventa una diversa forma di lotta per la supremazia. Per l’affermazione di nuove realtà. Una battaglia anche politica e sociale. I festeggiamenti dei tantissimi marocchini presenti in tutta Europa hanno dimostrato, innanzitutto, che gli immigrati – compresi quelli di seconda generazione ed anche di terza – continuano a sentirsi marocchini e diventano italiani, francesi, belgi soltanto per comodità, per usufruire dei vantaggi della cittadinanza. Uno schiaffo in faccia a tutti coloro che blaterano di assimilazione, di inclusione, di ius soli sotto varie forme. Le radici, la cultura, le tradizioni sono più importanti delle idiozie globaliste, degli uomini tutti uguali, dei cittadini del mondo.
Fieramente marocchini, giustamente marocchini. E con la bandiera palestinese ostentata sul campo di calcio, nei cortei che hanno attraversato le città di tutta Europa. Perché non basta la censura atlantista per nascondere un problema che, evidentemente, continua ad essere sentito come tale al di fuori della fortezza colabrodo occidentale. Tutte le prime pagine dedicate alla mano sulla bocca dei calciatori tedeschi, alle bocche chiuse degli iraniani durante l’inno nazionale. Strano sia sfuggita la bandiera della Palestina.