Vedo una foto di cinque anni fa. A Standing Rock. Un incontro tra delegazioni delle Nazioni dei Nativi Americani. O meglio, di quelli che per lungo tempo abbiamo chiamato indiani. A causa dell’errore di Colombo. Ora non più. Per la mentalità politicamente corretta è offensivo. Sarà… a me sembra più offensivo chiamarli così. Nativi Americani. Una generalizzazione che annulla identità e differenze. E per di più con un richiamo al Vespucci, Amerigo. Altro che si è arrogato la scoperta del Nuovo Mondo.
Standing Rock, tra Nord e South Dakota, è una delle grandi Riserve Indiane, dove vivono confinati i discendenti delle Nazioni che popolavano quel Continente prima della sua “scoperta”. Tradotto: prima della conquista europea e, in questo caso, anglosassone. E del più grande genocidio che la storia ricordi. O meglio, che dovrebbe ricordare. Perché, di fatto, non se ne parla. O si finge di ignorare ciò che è accaduto. E che, almeno in parte, continua ad accadere.
Certo, oggi siamo nella stagione del politically correct. Il linguaggio ufficiale è stato corretto. Edulcorato. Attivisti fanatici distruggono le statue di Colombo, considerate emblema dell’imperialismo dell’uomo bianco
Ma si tratta solo di fuffa intellettualisteca. Di una moda.. Moda e ideologia dell’uomo bianco. Che così facendo, pensa di lavarsi la coscienza. E si sente tanto moderno, tanto democratico. Tanto giusto ed egualitario….
In realtà è solo moda. O peggio ideologia manipolata a fini che nulla hanno a che vedere con il rendere giustizia alla storia della conquista delle, cosiddette, Americhe. Anzi, vanno proprio nella direzione di negare le identità dei popoli e la specificità delle culture. Ieri quelle degli “indiani”. Oggi quelle di tutti. Perché si vuole una società di individui solitari, senza radici. Anomici e anonimi. Massa plasmabile e manipolabile senza resistenza.
Raramente ho colto tanto dolore come in questa foto. Due discendenti. Di Geronimo, il capo apache che guidò la resistenza estrema del suo popolo. E che fu soprannominato appunto Geronimo, ovvero il Diavolo. E di Toro Seduto, la grande guida, spirituale dei Dakota. Quelli che conosciamo come Sioux. Due popoli che vivevano distanti. Diversa cultura. Diversa lingua. Estranei storicamente. Ma i loro discendenti si abbracciano. E piangono.
È il simbolo di un dolore immenso. Di una ferita che nulla potrà mai risanare. Quello delle Nazioni del Nuovo Mondo è stato il più tremendo genocidio. Culturale oltre che fisico. Il paradosso è che, per lo più, si parla dell’America Latina. E non del Nord colonizzato dagli Anglo – sassoni.
E sulla Spagna, in parte sul Portogallo, grava da sempre quella che gli storici iberici chiamano la Leyenda Nigra. Intendiamoci, non che i Conquistadors ci fossero andati con mano leggera. Tuttavia, la cultura latina e cattolica favorì, almeno in parte, la fusione tra conquistatori e conquistati. Tant’è che nella parte meridionale del Continente oggi il meticciato è, sostanzialmente, normale. E maggioritario.
Non così nel Nord. Gli anglosassoni protestanti, antenati dei moderni WASP, procedettero ad una sistematica politica di sterminio. Conclusasi con l’apartheid. La segregazione dei nativi sopravvissuti nelle Riserve. Spesso, se non sempre, miserabili e improduttive. Obbligarono i figli dei guerrieri nomadi delle grandi pianure a vivere in baracche. A dimenticare la loro lingua. Ad abiurare la loro religione. E continuarono, comunque, a non considerarli uomini. Solo un fastidio, come un termitaio che infesta un campo coltivabile.
Il cinema, Hollywood, la più grande macchina di propaganda mai inventata, ci ha abituati all’immagine del caw boy buono, e dell’indiano cattivo in cerca di scalpi. Era l’opposto. Custer, leggenda epica del West, era un macellaio. Un massacratore di donne e bambini. Che non rispettava nessun trattato di pace. Neppure gli ordini dei suoi comandi. Perché, in realtà, serviva non la bandiera americana, ma gli interessi di speculatori che volevano liberarsi degli indiani. Per impadronirsi delle loro terre. Anche certi generali – Custer era in realtà solo colonnello – non sono che sgherri al servizio di, occulti, poteri finanziari. Ieri come oggi.
L’assurdo è che gli “indiani” non possedevano la terra. Era la terra che possedeva loro. Vi avevano le radici. Ne erano parte. Non proprietari. E non potevano capire la logica dell’uomo bianco. E l’assenza d’onore.
Non era loro il Mondo Nuovo. Il loro era un mondo antico, feroce, forse, ma leale. E armonico. Il Mondo Nuovo lo stavano creando gli invasori. Sulle loro tombe.
Poi, certo, qualcuno, fra i ” visi pallidi” cominciò a capire. Libri come “Alce Nero parla”. E anche qualche film. “Balla coi lupi”. “Il piccolo grande uomo”. Soprattutto lo straordinario “Un uomo chiamato cavallo” con la più intensa interpretazione di Richard Harris.
Troppo poco. E troppo tardi.
Resta quell’abbraccio muto. Che ci parla di civiltà perdute. Di culture annientate. Di destini tragici. E che ci fa comprendere come, in fondo, sia iniziato il “meraviglioso Mondo Nuovo”. Ovvero l’incubo in cui tutti, ormai, sembriamo condannati a vivere.