Annunciavano neve, sino a pochi giorni fa. Una settimana di nevischio e nevicate intermittenti. E freddo, ovviamente. Ma la neve è caduta solo sulle montagne. Nella valle solo una mattinata… e presto è mutata in pioggia.
Oggi, poi, un mattino di indicibile limpidezza. Cielo terso e di un azzurro intenso.
E lo spettacolo è…. meraviglioso. Con i monti che riflettono la luce rosata dell’aurora. E poi divengono abbaglianti, quando i raggi del sole trasformano ghiaccio e neve in un mare di oro fluttuante.
Ancora con sta meraviglia? – dirà qualcuno – stai lassù da parecchi mesi ormai… ma continui a menare il torrone con monti, aurore, neve…. Non vorrai mica farci credere che non ti sei ancora abituato….
No. Non mi sono, per nulla, abituato… e, soprattutto, non mi ci voglio abituare. Che è, poi, ciò che conta davvero. Perché, vedete, esistono ben poche cose peggiori dell’abitudine. Forse la noia… che, però, spesso se non sempre, è prodotto di una vita troppo abitudinaria.
L’abitudine infatti ci impedisce di percepire il mondo fuori di noi. Ci rende insensibili anche alle cose più belle. Ai massimi capolavori dell’arte. Così come ai più fantasmagorici spettacoli della natura.
Lo ho constatato più volte nella mia vita, una vita che mi ha portato a vivere in due delle città più belle del mondo. Magari in quartieri periferici, ma erano Venezia e Roma… mica ve dico cotica (reminescenza degli anni romani…).
Bene, mi è capitato in Piazza San Marco, di vedere turisti giapponesi che contemplavano, con la bocca aperta, i meravigliosi capitelli del Palazzo Ducale. Che sono dei capolavori, uno diverso dall’altro. E con dei simbolismi raffinati e complessi. Per inciso, volendo approfondire, potete cercare un vecchio studio di Antonio Manno. Mio antico amico.
Comunque i giapponesi lì. Incantati. E i veneziani che passavano, avanti e indietro, totalmente incuranti. E ci scommetto che molti, anzi i più, mai avevano saputo di quei capitelli. Solo, erano abituati a passare di lì… nulla faceva più loro effetto.
A Roma ancora peggio. Fui io, giunto da appena un anno nell’Urbe, a portare una terza liceo classico a visitare il Campidoglio. La maggioranza non vi si era mai neppure avvicinata. E si trattava di un Liceo che raccoglieva una sorta di élite economica e sociale. Quei ragazzi andavano in vacanza in Florida. E facevano shopping, coi genitori, a Manhattan. Eppure…
Ricordo che un collega, scuotendo la testa, commentò: ma guarda se questi, per vedere un po’ di Roma, dovevano aspettare che calasse da queste parti uno che, un tempo, avremmo chiamato lanzichenecco….
Per me, fu un grande complimento.
L’abitudine uccide il senso del bello. E rende tutto grigio ed uniforme. Anche nell’amore. Ci si abitua anche alla più straordinaria bellezza… non si vedono più quegli occhi, che prima ti incantavano. Non si nota più quel sorriso. Né quelle lacrime…
La solita minestra, si finisce col pensare. E allora… tutto ha fine. Tutto muore… ciò che si credeva non poter morire mai. E poteva essere, se non ci si fosse lasciati trascinare nella deriva della abitudine….
L’abitudine ci rende autistici. In modo grave e irreparabile. Siamo dei morti che camminano. Più zombie di quelli della tradizione Vudù. E dei vecchi fumetti di Zagor…
Per cui, amico mio, io non voglio…abituarmi. Voglio continuare a provare stupore e meraviglia e incanto. Davanti all’aurora sui monti. Davanti ai fiocchi di neve e alle loro, perfette, geometrie.
E davanti a due occhi…