Lo schema è sempre lo stesso: immagini strazianti, una voce recitante, profonda, accorata e, fulmen in clausola, la richiesta di cacciare le palanche
Non molte, per la verità: otto, cinque, dieci euro al mese. Da qualche tempo, alcune reti televisive sono letteralmente, invase da spot pubblicitari, che invocano l’aiuto dei telespettatori per un numero considerevole di iniziative a carattere umanitario: da Save the Children a Telethon.
Difficile restare indifferenti
di fronte a bambini denutriti, dagli occhi pieni di dolore e di disperazione o a genitori che tentino, tenacemente, di garantire un futuro ai loro figli, affetti da malattie terribili.
Io, però, voglio fare l’avvocato del diavolo, e sottoporvi un ragionamento, che, in qualche modo, faccia da contraltare all’indubbio impatto emotivo che questi filmati esercitano su di noi. Facciamo due conti: a quanto ci comunicano le voci suadenti negli spot, per ridare la vista ad un bambino africano con il tracoma, oppure per garantirgli cibo sufficiente o la frequenza scolastica, è sufficiente un obolo di otto euro al mese.
Cioè, la vita, la vista e il futuro di uno di questi poveri bambini costerebbero all’Occidente meno di cento euro all’anno
viceversa, ne muoiono a migliaia per la carestia, a migliaia perdono la vista, a migliaia di loro è preclusa un’educazione. Questo, a un dipresso, vuol dire che, le cooperative che si occupano di accoglienza in Italia assorbono, mensilmente, per ogni immigrato che ospitano, risorse che garantirebbero la salvezza di 120 bambini africani.
Si fa prestissimo: centomila immigrati accolti significano, se Save the Children e simili non raccontano delle gran balle, 12.000.000 di bambini condannati a morire di fame, sete, malattie, a divenire ciechi o, nella migliore delle ipotesi, a restare analfabeti.
In pratica, per l’Africa si tratta di una condanna alla povertà, all’ignoranza, al degrado
Se esistesse, in questo campo, quella che si dice “pubblicità contrastiva”, forse le mie parole sarebbero più chiare. Se, accanto alle immagini tragiche dell’ospedale di Chamala o del Darfur, accanto a Cayende, “che pesa la metà di un bambino sano della sua età” o a Enoch che sta perdendo la vista, venissero trasmesse quelle, per la verità un po’ meno strappacore, dei giovanotti col cellulare in mano e il cappellino da baseball, che cincischiano seduti sui muretti o protestano perché la paghetta è insufficiente, coi loro bei fisici atletici, forse forse qualche dubbio ci verrebbe.
Non parlo dei bambini di Telethon, perché potrebbe sembrare il solito ritornello del: prima gli Italiani! Parlo dei bambini dell’Africa: di quegli africani che vivono davvero dove c’è solo guerra, carestia e morte. Parlo di creature scheletrite, che non riusciranno mai ad avere un cellulare e un fisico da centometrista. Parlo, insomma, di quei nostri fratelli disperati che avremmo il dovere di aiutare per davvero e che, invece, devono sperare nell’elemosina dei telespettatori di “Supertennis”.
Non vi pare che qualcosa, in questo meccanismo, non funzioni come dovrebbe?
Ve lo dico io cosa non funziona: l’umana ingordigia. Il fatto che l’accoglienza degli immigrati sia, oggi come oggi, il nuovo emotional business.
Fino a qualche tempo fa, si facevano i soldi con il biologico: oggi, che la balla del biologico mostra la corda, si fanno i soldi con le strutture di accoglienza. Solo che, col biologico, campavi sulla dabbenaggine della gente: adesso, lo fai sulla pelle delle persone.
La prossima volta che vedete uno di questi spot, pensateci.