Con la legge 232 del 2016 venne istituita l’APE volontario, vale a dire un reddito ponte che si può percepire quando mancano non più di 43 mesi di distanza dalla pensione di vecchiaia e si hanno almeno 20 anni di contributi previdenziali.
La questione venne ampiamente pubblicizzata su tutti gli organi di informazione con il frettoloso nome di “prepensionamento”.
Ma a tutt’oggi gli effetti si sono dimostrati un clamoroso flop. Ed è la stessa INPS a farcelo sapere.
Proprio sul sito dell’istituto di previdenza si può leggere che ad oggi le domande sono state appena 1.736, delle quali 1.242 erano di lavoratori che hanno anche chiesto i ratei arretrati.
Le domande di certificazione del diritto, presentate da chi non ha ancora i requisiti ma vuole sapere se potrà averli più avanti, sono state invece 11.249, un numero molto esiguo se si pensa che sono centinaia di migliaia i lavoratori che andranno in pensione nei prossimi anni.
Infatti, in base a recenti calcoli, saranno circa mezzo milione i dipendenti che andranno in pensione entro il 2020 solo nella pubblica amministrazione, proprio il settore da cui ci si aspettava una maggior adesione al progetto APE.
Visto che la legge del 2016 era stata varata per “compensare” in qualche modo l’innalzamento dell’età pensionistica ai 67 anni d’età, non si può certo affermare che sia stata recepita bene dai cittadini.
Diffidenza?
Forse. Ma temiamo che il fallimento dipenda di più dalla complessità (voluta?) della presentazione delle domande e dalla forte decurtazione dell’assegno mensile che i “volontari dell’APE” avrebbero subito per il pagamento degli interessi.
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Io non credo sia un fallimento, penso invece che sia un modo ingegnoso per attenuare gli effetti distruttivi della riforma Fornero, ad un costo modesto per lo stato e sopratutto rimandato al momento in cui gli interessati andranno effettivamente in pensione. Concordo sulla complessità invece, avendolo fatto io stesso, e aggiungerei che la maggior parte dei miei coetanei ha difficoltà (prevedibilissime) con un computer, e all’INPS non sembra importare troppo.