Vorrei diventare un… apota. Parola strana, vero? La utilizza Giuseppe Prezzolini, scrivendo a Gobetti. Era la stagione dei due Manifesti degli intellettuali. Quelli organizzato dal Croce, degli antifascisti. E quello dal Gentile, dei fascisti.
Grande stagione, ad onor del vero. Ché il dibattito culturale, e politico, aveva una vivezza e una intensità di cui, ormai, non resta neppure un pallido ricordo. Se non a qualche inutile erudito. Come il sottoscritto.
Basterebbero i nomi, per capire la portata di quel confronto. Tra i firmatari del Manifesto di Gentile, Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello , Filippo Tommasi Marinetti, Ugo Spirito, Margherita Sarfatti. E anche Giuseppe Ungaretti.
Per quello di Croce, Emilio Cecchi, Marino Moretti, Matilde Serao, Sibilla Aleramo, Gaetano Rensi… ed Eugenio Montale .
Insomma, la cultura italiana tutta. Poesia, letteratura, arte, filosofia… il nostro novecento. Il Nuovo Rinascimento.
Mancava, però, Prezzolini. Spiritaccio fiorentino indomito. Che rifiutava di farsi incasellare in un qualche schema. Prevedendo che, presto, con uomini di minor valore, quei Manifesti sarebbero diventati gabbie. Utilizzate strumentalmente per ben altri interessi. E non per le idee.
E così scrive che gli sarebbe piaciuto lanciare un “Manifesto degli apoti”. Di “coloro che non se la bevono”.
Ovvero che stanno fuori dal vortice delle fazioni. Non perché incapaci di prendere posizione, però.
Prezzolini conosceva bene il suo concittadino Dante. E sapeva come questi trattasse gli ignavi. La pena più disgustosa di tutto l’inferno.
L’Apota non è un ignavo. Non prende parte non per paura, viltà, opportunismo. Semplicemente non si riconosce nelle tifoserie politico-culturali. Vede le cose in un’ottica diversa. Superiore. Ed è scettico, disincantato sulle diverse ideologie. E sulle, recondite, motivazioni per cui le si sposa. Che sono, oggi più spesso di allora, motivazioni ignobili. Interessi, calcolo, astii personali.
Prezzolini era amico personale di Mussolini. Dai tempi de “La Voce”. Poteva chiedergli qualsiasi favore. Preferì andare ad insegnare negli Stati Uniti. Ma non sposò mai l’antifascismo degli esuli. Che vedeva come gretto e meschino. Quanto quello di coloro che inseguivano le prebende di regime. A ben vedere, le due facce della stessa medaglia. Di una, certa, anima italiana. Che non gli piaceva.
Oggi, in questa Italia e quest’epoca sempre più povera di intelligenza, e anche di dignità, sarebbe bello potersi chiamare fuori. Sedere sulla riva del fiume (altra immagine dantesca) e guardare dibattersi gli altri, destra, sinistra, centro… inseguendo il plauso di chi comanda, di chi comandava. Di chi comanderà.
Guardarli senza passione. E ricordare la, ancora dantesca, banderuola che segue il vento.
Già sarebbe bello… per questo mi piacerebbe fare l’Apota.