Non ho mai visto una partita di calcio in vita mia, né ho mai avuto perciò una squadra del cuore. Per molti sono un gelido anaffettivo, con spunti asociali, pedante nelle spiegazioni, ossessivo nelle puntualizzazioni, morboso negli approfondimenti, insopportabile nei particolari, asfissiante nelle precisazioni. Potrei continuare nei difetti che mi vengono attribuiti, ma è una questione che non mi assilla, per il semplice motivo che non li vivo come difetti – nel lavoro, ovviamente.
Trovo, invece, delle tare detestabili e delle pecche imperdonabili in coloro i quali, affetti da supponenza culturale e presunzione ideologica, entrano in gioco nei dibattiti politici con l’accecamento emotivo e l’obnubilamento sentimentale. Peggio ancora quando il tutto è condito da volontaria ignoranza e volontario servilismo – per dirla alla de La Boétie.
È quanto è accaduto e accade a proposito del conflitto russo-ucraino e israeliano-palestinese.
Dico tutto questo perché qualcuno mi ha imputato il fatto che non prendo posizione. Non frequento le curve, e mi limito all’esami dei giochi.
Un giorno, uno dei docenti al dottorato di filosofia, il professore e amico Giulio Maria Chiodi, mi disse che il nostro compito è di “decostruire il linguaggio ideo-affettivo e ricondurre il discorso al rigore concettuale”. Niente di complicato: uscire dal fazioso inganno emotivo dell’informazione settaria sia audiovisiva che cartacea e riportare il tutto all’analisi severa e scrupolosa di ciò che si vede e di ciò che si legge. Insomma, per i due contesti citati, seguire il consiglio di “scire actiones per causas”, ovvero conoscere le motivazioni di un certo comportamento e di una certa re-azione per fare una valutazione realistica dei fatti.
Niente di tutto questo è in atto. Come il povero animale da richiamo, l’informazione accorre al segnale della politica, che precedente è stata incanalata da poteri non solo estranei, ma addirittura antitetici all’interesse degli Stati.
Chi ci perde in questo manovrato contenzioso? La verità, innanzitutto; poi, il falso interesse alla pacificazione sacrificata dal fuoco della retorica; ancora, la solidarietà nazionale disintegrata dalla divisione abbandonata al fanatismo; infine, la correttezza storica e politica azzerata dalle distorsioni interpretativa degli eventi.
Chi tenta di far rispettare le regole passa, inevitabilmente, per l’arbitro cornuto, a seconda delle insoddisfazioni che produce. A questo punto, tra l’arbitro e la curva, l’unica posizione seria ed equilibrata resta quella del tecnico in panchina.