“Non di idee ma di uomini nuovi abbiamo bisogno” sosteneva nei giorni scorsi, riprendendo Codreanu, Daniele Lazzeri, presidente del think tank Il Nodo di Gordio. Non sempre, tuttavia, uomini nuovi sono una garanzia di cambiamento in positivo. Ed il sorprendente successo di Javier Milei alle primarie in Argentina – in vista del voto di ottobre – rappresenta sicuramente una novità, ma suscita anche non poche perplessità.
Il liberista Milei, di origine italiana, sfiderà dunque Patricia Bullrich (scelta dalla coalizione dei conservatori) e il peronista Sergio Massa, anche lui di origine italiana. I distacchi tra i 3 candidati sono minimi – dal 30% di Milei al 28% di Bullrich mentre i peronisti si fermano al 27% – ma la somma di liberisti e conservatori pone i peronisti in una situazione di crisi profonda. Todo cambia. Ed è cambiata anche l’Argentina.
Inevitabile, perché dopo Nestor Kirchner gli “uomini nuovi” ed anche le donne peroniste non sono stati in grado di rilanciare il Paese. Alle prese, ora, con una inflazione spaventosa, con un debito enorme, con la totale mancanza di prospettive.
Solo partendo da questo dato di realtà si può comprendere come il 30% dei consensi sia andato a un candidato che vorrebbe la privatizzazione della sanità, la possibilità di vendere i propri organi. E, tanto per essere chiari, la rinuncia alla sovranità monetaria argentina per accodarsi al dollaro. Un perfetto sovranista in stile italiano.
Ovviamente un successo di Milei, ma anche una vittoria di Bullrich, sposterebbe l’Argentina nel campo opposto rispetto alla maggioranza dei Paesi latinoamericani. Ed è curioso che le piangine neomeloniane dei TG italiani non si siano accorte di un voto che rappresenta un grande successo per Washington. Troppo attente all’Ucraina per capire che il mondo è leggermente più vasto.
Comunque l’Argentina, con questa scelta, si pone al di fuori dell’area Brics. Dove aveva chiesto di entrare, con il sostegno del Brasile. E, non a caso, sia Milei sia Bullrich hanno già iniziato i colloqui con il Fondo monetario internazionale a guida statunitense. Ciò significa che per gli argentini si prospettano anni di lacrime e sangue. D’altronde era difficile promuovere la pessima gestione di Alberto Fernandez e anche gli ultimi anni di Cristina Kirchner.
Ma i continui errori del fronte peronista, le fratture interne, la mancanza di coraggio e le accuse di corruzione sembrano aver messo fine ad una esperienza e ad un modello politico che aveva fatto di Buenos Aires un faro per molti Paesi a livello non solo latinoamericano. Servono uomini nuovi, certo, ma uomini capaci.