Il presidente argentino Alberto Fernández si conferma il leader dell’ala moderata del peronismo tornato al potere e con l’apertura sulla depenalizzazione dell’aborto nella nazione sudamericana si pone in continuità con il predecessore liberale Mauricio Macri.
La tematica relativa all’interruzione di gravidanza era stata posta proprio dall’esecutivo di centrodestra e ora torna in auge forse anche per distrarre una parte dell’opinione pubblica dall’insolvenza, l’ennesima, del debito nei confronti del Fondo monetario internazionale.
Proprio sul versante economico nella Casa Rosada sembrano esserci visioni diverse, se non del tutto opposte, tra l’ingombrante vicepresidentessa Cristina Fernández de Kirchner e il neopresidente. L’ex presidentessa rappresenta l’ala più oltranzista non intenzionata a trovare alcun accordo se non quello di rigettare al mittente la richiesta di saldare i pagamenti con l’organizzazione internazionale.
Da parte sua Alberto Fernández vorrebbe evitare un default e sta cercando in ogni modo di ristrutturare il debito tramite una rinegoziazione che preveda qualche riforma in campo economico.
La mossa sul versante etico rischia, in ogni caso, di trasformarsi in un boomerang per via della sempre crescente adesione a congreghe evangeliche anche nel Paese sudamericano. Per un comitato femminista Ni una menos (Non una di meno) accontentato per questa apertura si rischia di porsi in contrasto con il 15% della popolazione che si dichiara affiliato a chiese protestanti del tutto ostili a qualsivoglia modifica su diritti civili quali eutanasia, matrimoni omosessuali e appunto l’aborto.
Il progetto di legge dell’inquilino del palazzo presidenziale dovrebbe consentire la legalizzazione dell’aborto nei primi mesi di gravidanza seguendo la legislazione già in atto nel vicino Uruguay. Di sicuro proprio come due anni fa l’aborto sta nuovamente riempendo l’agenda politica argentina e questa volta potrebbe non essere frenato in Parlamento trovando una convergenza inaspettata delle coalizioni frappostesi lo scorso ottobre.
Ad uscire realmente sconfitto potrebbe essere papa Bergoglio, indicato da molti come un fiero oppositore dell’imprenditore Macri negli ultimi quattro anni e ora metaforicamente pugnalato alle spalle dal nuovo leader del peronismo proprio su un tema molto caro alla Chiesa che, nonostante la forte crescita evangelica, vede ancora i due terzi della popolazione albiceleste dichiararsi seguace della religione cattolica.