Chi fa da sè.. e l’Asia ha deciso che è meglio non dipendere da un mondo atlantista che è impegnato a far solo gli interessi di Washington. Di conseguenza il commercio intra-asiatico, che nel 1990 rappresentava il 46% del totale, vale oggi il 60%. Ancora più interessante, in prospettiva, il dato relativo agli investimenti diretti esteri in Asia: nel 2010 solo il 48% faceva capo ai diversi Paesi asiatici mentre ora si è arrivati al 60% del totale. L’Asia, dunque, scommette sull’Asia.
E lo fa prescindendo completamente dalla comunanza ideologica o dagli schieramenti geopolitici. Dunque Giappone e Cina possono tranquillamente fare affari insieme, aumentare gli investimenti reciproci, pur essendo schierati su fronti politici opposti. E gli scambi commerciali tra India e Cina ignorano le tensioni sui confini. È una grande differenza rispetto all’Unione europea ed anche rispetto alle alleanze militari occidentali. Ma non dovrebbe creare troppe illusioni nei maggiordomi di Biden.
Perché è la dimostrazione di un sentimento di alterità rispetto all’Occidente nel suo complesso. Si preferisce investire sul vicino, anche se considerato un nemico, piuttosto che sull’amico e alleato occidentale. Con la consapevolezza che gli “esportatori di democrazia non richiesta” non hanno il benché minimo rispetto di usi, costumi, tradizioni e diritti dei popoli non occidentali. Dunque meglio aumentare l’interscambio tra Nuova Delhi e Pechino anche se i confini sono a rischio. Perché gli accordi commerciali si rispettano e non sono perennemente a rischio di sanzioni, di dazi messi e tolti a capocchia, di minacce di rappresaglia.