L’immagine delle antiche università europee, comprese quelle italiane, era legata alla libertà, soprattutto degli studenti. Anche senza arrivare ai clerici vagantes ed ai goliardi. Gli sgherri non potevano entrare, gli studenti potevano scegliere se farsi giudicare dai propri maestri invece che dalla magistratura esterna. All’Università di Torino hanno deciso di interpretare a modo loro gli antichi privilegi. Ed hanno applicato la censura senza concedere il diritto alla difesa.
Miracoli delle nuove tecnologie e dei canali social. In una mail interna viene infatti chiesto di censurare ciò che non piace e non è in linea con la politica dell’Ateneo. Non solo cancellando i commenti sgraditi, ma con una censura “a priori”, “disabilitando la possibilità di postare e taggare, nonché di commentare”.
Non male come insegnamento della libertà. Però nello scambio di mail si utilizza l’immancabile asterisco, “gentilissim*”, dunque va tutto benissimo, siamo in linea con le “policy interne”. Solo questo conta in un Ateneo assolutamente progressista. D’altronde ci si può anche rifare ad avvenimenti storici: dopo i moti del 1821 scattò la restaurazione e la repressione e gli studenti fuori sede furono obbligati a studiare a distanza, senza recarsi a Torino. Repressione e distanza, distanza e censura. Allora come adesso. Ma i periodi bui sono destinati a finire, anche a Torino, anche all’Università.