Cecil B De Mille, il grande regista americano autore di film di enorme successo quali Il Re dei Re, Il Più Grande Spettacolo del Mondo (per il quale vinse due Oscar come miglior film e miglior regia) e I Dieci Comandamenti, usava dire: “Datemi un versetto della Bibbia e vi farò un film superiore alle tre ore e mezza”.
Conn Iggulden potrebbe essere definito il “de Mille del romanzo storico”, in quanto gli basta un libro delle Storie di Erodoto, per costruirci un best seller superiore alle quattrocento pagine, capace di vendere milioni di copie in tutto il mondo.
Era già successo con “Il Falco di Sparta” che riprendeva l’epopea dei guerrieri greci narrata nell’Anabasi di Senofonte, e ne “Le Porte di Atene” nel quale rielaborava in chiave romanzata la prima fase della Seconda Guerra Persiana, quella, per intenderci, che verte sui due scontri alle Termopili e nella piana di Maratona.
Un paio di mesi fa ne è uscito qui da noi anche il seguito dal titolo “Le Ceneri di Atene” (PIEMME, pp. 411, 19,90€).
Si tratta di un romanzone un po’ retorico, ma nella scia di tutti i romanzi dello stesso genere, che narra le vicende che, tra il 480 e il 479 a.C., videro le principali poleis greche coalizzarsi contro l’esercito persiano guidato da Serse, che voleva invadere la Grecia per trasformarla in una provincia dell’impero persiano.
Ne sono protagonisti Aristide, Santippo, Pausania e persino un giovanissimo Pericle. Personaggi che sono riproposti non solo nelle loro gesta, ma nei loro dubbi, nelle loro paure, nelle titubanze e nella sofferenza. Aspetti perlopiù trascurati dai libri di storia. Ma il personaggio che più di altri emerge è Temistocle. In ciò l’autore non riesce a discostarsi dagli stereotipi letterari tipici del mondo anglosassone, che non riescono a narrare una vicenda se non a partire da un personaggio intorno al quale la stessa vicenda ruota.
In questo modo le battaglie di Salamina, di capo Artemisio, di Micale e Platea, anche se in un solo caso videro protagonista Temistocle, sembrano ricondurre tutto sul piano personale del protagonista scelto dall’autore.
Per carità: Iggulden è perfettamente consapevole che in quei diciotto mesi si decise la sorte nostra, dell’Europa e di tutto l’Occidente per gli anni a venire e fino ai giorni nostri. Se Serse avesse prevalso sulla resistenza greca noi oggi avremmo altri costumi, altre religioni, altre lingue, altri modi di pensare, e tutto ciò che è la nostra arte, musica, filosofia e letteratura non sarebbero mai nate o sarebbero di tutt’altra natura.
Ma scrivere un romanzo per riabilitare una figura, sia pur cruciale nella storia, dell’uomo che malgrado tutto commise una tale quantità di errori, nel corso della sua attività politica, da essere condannato non solo dai suoi concittadini e dagli storici più o meno coevi, ma anche dagli studiosi di quelle vicende che vissero ancora nel mondo antico, è un altro paio di maniche. Legittimo ma decisamente forzato.
Comunque sia, in quest’Italia disastrata, nella quale la storia antica è stata bandita da elementari e medie, e ridotta ad appena un’ora settimanale (una in meno di educazione fisica) nella maggior parte delle scuole superiori, un romanzo come questo può essere un buon modo per riempire una grave lacuna della preparazione dei giovani studenti, e un buon modo, e per di più piacevole, per rivivere quelle vicende che appassionarono coloro che ebbero modo di studiarle quando andavano a scuola.
Perché non è affatto vero che non abbiamo bisogno di eroi. Alcuni di essi andrebbero sempre studiati e ricordati per capire meglio chi siamo; nel bene come nel male.