Pochi libri hanno un fascino paragonabile a questo. È il fascino della fiaba, e, insieme, quello dell’Oriente. Di un Oriente, però, mai svelato, modernizzato, occidentalizzato e quant’altro. Un Oriente che resta mistero, jungle e pagode, palazzi da sogno, ieratici sapienti e predoni spietati….
Sto parlando, ovviamente, de “Le mille e una notte”. Il libro che è come uno scrigno di storie. Dal quale innumerevoli altri sono stati generati. Un libro particolare, con una storia particolare. Che si perde in un’antichità difficile da delimitare. Un coacervo di racconti arabi e persiani. Echi dell’Egitto e, soprattutto, radici nelle profondità dell’India.
Un libro, o meglio, sotto molti profili, un insieme di libri, che ha avuto una influenza fondamentale sul genere delle novelle e, in particolare, sulle fiabe. Introducendo quell’idea di un contesto narrativo comune, un filo rosso che collega, e in certo senso rende organiche, tutte le altre storie. I giovani che fuggono dalla peste di Firenze di Boccaccio, in certo qual modo, vengono da lì. Ed anche i pellegrini diretti a Canterbury de Chaucer….
Ma Sherazade è altra cosa. I suoi racconti hanno un’atmosfera diversa. Come…sospesa. Fiabesca, certo. Ma è la fiaba orientale, soprattutto persiana. Pervasa di magia. Attraversata da personaggi fantastici. Non ha la cruda durezza delle fiabe nordiche europee. Quelle raccolte dai Grimm… e che, secondo alcuni studiosi, potrebbero risalire, nei nuclei originali, addirittura al mondo feroce dei cacciatori raccoglitori del paleolitico.
Qui, in queste infinite Notti – questo il senso del titolo, perché, in arabo, dire “mille e una” significa un numero incalcolabile – tutto è espressione di una civiltà raffinata. E sognante. Perché l’immaginario è quello di un universo onirico.
Pensate ai Viaggi di Simbad. Certo, riassumono molte fonti. Derivano da diverse narrazioni precedenti, tra le quali, probabilmente, la stessa Odissea. Ma hanno un carattere decisamente più visionario. I mostri, che pure vi sono, hanno aspetto… diverso. Non Ciclopi antropofagi, ma Giganti che vengono da una sorta di regno incantato. E, poi, in altre novelle, Geni, o meglio Jinn, che servono pranzi luculliani su piatti d’argento. Che escono dai fumi di lampade ad olio. E grotte che nascondono immensi tesori. Regni sotterranei ove sugli alberi i frutti sono gemme e pietre preziose. Splendide principesse segregate in torri di altezza vertiginosa, e tappeti che volano portandole in salvo… E poi animali sapienti, maghi prodigiosi, giovani avventurosi e scapestrati che sono stati, probabilmente, l’archetipo dei Picari Castigliani…
Certo, se volessimo fare una storia del testo de “Le Mille e una notte”, il discorso si farebbe, qui, troppo lungo. E complesso. Personalmente mi accontento della redazione /traduzione storica che ne fece il Galland nell’ultimo scorcio del ‘600 francese. Redazione barocca, e per certi versi rococò. Perfetta per rendere l’atmosfera fiabesca dell’opera.
Guardo la Luna. Stasera è gigantesca. Ha da poco passato il suo culmine. La guardo e penso che una Luna simile doveva splendere nel cielo d’Oriente. Mentre, incantevole, Sherazade raccontava, una notte dopo l’altra, le sue storie. E il Sultano, senza avvedersene, si innamorava di lei.
E penso che, ancora, in qualche luogo remoto, vi sia una Baghdad intatta, non distrutta dalla furia degli uomini moderni. Una Baghdad metafisica…perché i luoghi delle fiabe sono sempre metafisici. Su un piano altro rispetto alla realtà ordinaria… E che per le sue vie, sotto questa stessa Luna, si aggiri ancora il giovane Aladino. In compagnia del suo Jinn…