Il primo turno delle elezioni presidenziali in Colombia ha confermato un trend che coinvolge sempre più Stati voto dopo voto, ovvero la riduzione a percentuali da mera testimonianza dei partiti tradizionali. Situazione sempre più evidente quando sono singoli candidati a sfidarsi direttamente piuttosto che nelle votazioni per le Assemblee legislative.
Era avvenuto in Austria con il ballottaggio per le presidenziali, ripetuto per i brogli elettorali a danno del candidato dell’Fpo Norbert Hofer, e si era verificato anche in Francia con l’esclusione di socialisti e gollisti dal ballottaggio tra Marine Le Pen e Emmanuel Macron, lo stesso è avvenuto ieri nella nazione andina.
A farne le spese sono stati l’ex vice primo ministro dell’uscente Juan Manuel Santos, Germán Vargas, attestatosi al 7,2% dei voti e Humberto de la Calle, capo negoziatore per conto del governo colombiano agli accordi di pace con le Farc, sostenuto dal Partido Liberal fermatosi addirittura al solo 2%.
In quelle che sono state le elezioni più partecipate degli ultimi anni nella nazione sudamericana, con un dato definitivo pari al 53,7% degli aventi diritto, i vincitori sono stati gli altri candidati sfidatisi per succedere al premio Nobel per la pace nel 2016 Santos, impossibilitato a ricandidarsi dopo i due mandati consecutivi.
Ad accedere al secondo turno da una posizione di vantaggio sarà l’uribista Iván Duque, sostenuto dal Centro Democrático, che ha ottenuto il 39,1% dei consensi. Il suo sfidante sarà l’ex sindaco della capitale Bogotà Gustavo Petro, sostenuto da Colombia Humana, che con il 25% ha vinto la sfida interna alla sinistra colombiana con Sergio Fajardo, ex sindaco di Medellín, fermatosi al 23,7%.
Subito dopo il responso definitivo dei dati i due sfidanti hanno teso la mano ai tre candidati esclusi dal secondo turno al fine di assicurarsi appoggi determinanti per poter trionfare il prossimo 17 giugno.
Di sicuro si sfideranno due visioni del tutto opposte in ambito economico, sociale e di rapporti con l’unico movimento guerrigliero ancora attivo nel Paese, quell’Esercito di Liberazione Nazionale che ha sospeso le proprie attività durante il voto, e di mantenimento degli accordi di pace con le Farc, che dopo essersi presentate alle elezioni per Camera e Senato con scarsi risultati hanno preferito non presentare un proprio candidato alle presidenziali.