No, direttore. Ti chiarisco subito che questo non è un articolo sulla pizza. Anche perché, ad essere sincero, la 4 stagioni non è che mi garbi molto (e mi scuso del vezzo fiorentineggiante).
Piuttosto è un pezzo che avrebbe l’ambizione, temo eccessiva, di parlare della vita. E che mi è venuto in mente leggendo una lirica. O meglio, rileggendo. Perché, man mano che procedevo, mi ricordavo i versi che dovevo ancora scorrere.
Accade spesso così, per lo meno a me. Le cose, soprattutto lette nella giovinezza – quando i libri si divorano, con una voracità febbrile – le dimentichi col tempo. O meglio, credi di averle dimenticate. E, invece, basta un niente, e d’improvviso affiorano da profondità oscure.
In questo caso, si è trattato di una lirica di Joh Keats. “Le quattro stagioni dell’anno”.
Keats è un poeta che ho amato molto, in gioventù. E, in effetti, fu poeta giovane. Morto prematuramente. Lasciando, però, versi perfetti. L’Ode sull’urna greca, ne è solo l’esempio più celebre.
Questi sono, però, versi poco noti. E poco citati. Paragonano le stagioni dell’anno a quelle della vita. Che, ad essere sinceri, è similitudine anche troppo sfruttata. E scontata.
Certo, dette da Keats certe cose suonano ben diversamente che sulla bocca di qualche, vecchio, avventore di osteria, tra un bicchiere di rosso e una partita di tressette…
“Quattro stagioni ha l’anno /quattro stagioni ha l’animo dell’uomo”
Perché non solo di corpo parla il poeta inglese. Anzi, da come la mette giù, il corpo è semplicemente il simbolo sensibile di un evolvere, o involversi, dell’animo. Andate a leggere. È breve, e merita lo sforzo, anche se non siete proprio amanti della poesia….
A me, comunque, ha fatto venire in mente un ciclo di romanzi spagnoli. “Le Quattro Sonate”, di Ramon della Valle Inclán. Un ciclo narrativo – Sonata di Primavera, Sonata d’Estate, Sonata d’Autunno, e Sonata d’Inverno – che meriterebbe di essere annoverato tra i grandi capolavori del ‘900. Accanto alla Recherche di Proust, all’ Uomo senza qualità di Musil, ai Sonnambuli di Broch, al Mare della Fertilità di Mishima… Cicli narrativi che sono grandiosi affreschi di un’epoca, di una cultura. E, soprattutto, della condizione umana.
Solo che il buon Della Valle Inclán, non ha mai avuto molta fortuna. Anche se, agli esordi, venne salutato come il D’Annunzio spagnolo. Che non è certo cosa da poco.
Scarsa fortuna, e sostanziale oblio, dopo la morte, avvenuta nel ’36, alla vigilia della Guerra Civile. Colpa sua, per altro, così imparava a fare il Carlista. Ovvero il monarchicio legittimista tradizionalista cattolico e reazionario convinto. Per intenderci, di quelli che portavano il basco rosso di Navarra e cantavano: “Dammi le giberne, dammi il fucile… Ucciderò più liberali di quanti sono i papaveri al sole…”
Insomma uno così stava sullo stomaco a Franco e al suo regime. E mica poteva aspettarsi l’apprezzamento di democratici, liberali e sinistri vari…Per sovramercato i suoi romanzi avevano una forte tensione erotica, di tradizione libertina… E quindi anche la Chiesa ..
Comunque, nelle Sonate racconta le quattro stagioni della vita del Marchese di Bradomîn, sfegatato carlista, avventuriero, impenitente don Giovanni. Molto spagnolo. Con alcune venature…italiane.
Racconta così la storia di un’epoca cruciale per la Spagna. E non poco influente anche nella vicenda europea. Ma, soprattutto, attraverso gli amori del Marchese, dalla giovinezza alla senescenza, indaga in profondità l’animo umano. Perché l’eros e la morte, qui rappresentata dalle guerre, sono il banco di prova dell’uomo. Dove rivela, e può conoscere se stesso. E Ramon della Valle Inclán lo sapeva bene…
E le sue Sonate restano un capolavoro. E un’opera in cui potersi rispecchiare… Per me, almeno, che ormai dovrei essere prossimo alla Sonata d’inverno. O meglio – per anticipare il Direttore – già un bel pezzo addentro in questa…
Poco male. Proprio il ciclo di Della Valle Inclán mi ha insegnato una cosa. Quando lo lessi. Molti anni fa. Durante una vacanza sull’Altipiano di Asiago. Volumi vecchi, scoperti sulla bancarella di un libraio Pontremolese. Li divorai. Era piena estate. Dell’anno e della mia vita.
Ricordi…
Però il Marchese de Bradomîn mi ha lasciato un insegnamento preciso. Ogni stagione ha la sua ragione di essere. La sua bellezza. E i suoi amori. Basta saperli cogliere, senza rinchiudersi in se stessi. Nella prigione della propria mente. Dietro alle sbarre della paura.
È come quando ascolto le Quattro Stagioni di Vivaldi. Certo la Primavera ha un ritmo incalzante. Vitale… Ma anche le altre, in modo diverso, sono piene di fantasia e di voglia di vivere. Anche l’inverno…forse soprattutto l’inverno…