Non c’è da stupirsi se il romanzo di Giulio Mozzi “Le Ripetizioni” (Marsilio, pp. 355, €17,00), pur essendo stato selezionato nella cinquina finalista, non abbia vinto il Premio Strega 2021. E non solo perché l’autore è alla prima prova di un racconto lungo.
Mozzi, infatti, è tutt’altro che un principiante. Sin dal 1993 ha pubblicato una decina di raccolte di racconti pubblicate dalle più importanti case editrici italiane, nonché tre libri di poesie. Allo stesso tempo da oltre trent’anni insegna scrittura creativa e nel 2011 ha fondato a Milano la Bottega della Narrazione.
Mozzi ha lavorato alla stesura di questo romanzo sin dal 1998. Ha curato e limato ogni frase migliaia di volte, e solo nel periodo del lockdown ha deciso di proporre al pubblico italiano il frutto della sua fatica.
In tempi in cui gli autori di successo sfornano libri a ritmo continuo per mantenere in piedi una asfittica industria editoriale, “Le Ripetizioni” rappresenta, per questo motivo, una grossa novità. L’altra, o per meglio dire, le altre, sono la lontananza siderale che separano lo stile e la narrazione di Mozzi dai suoi colleghi.
Niente buonismo, nessun moralismo; niente a che vedere con il politicamente corretto; nessuna concessione al pensiero unico dominante; lungi dagli ammiccamenti al pensiero politico preferito dalla maggior parte degli scrittori nostrani.
Mozzi racconta la storia di Mario, scrittore più o meno noto, che vive una doppia, anzi, una tripla vita sentimentale divisa tra Viola, la ragazza milanese che Mario vorrebbe sposare, ma che a sua insaputa si prostituisce a favore di un gruppo di ricchi pervertiti; Bianca, con la quale forse Mario ha concepito una figlia che la madre gli nasconde; e Santiago con il quale il protagonista ha un perverso e succube rapporto omosessuale.
La vicenda si snoda a zig zag tra queste tre storie alle quali si aggiunge il rapporto di amicizia con Gas, un pittore con il quale Mario divide l’appartamento della sua città natale, Padova.
A metà strada, o forse alla convergenza, tra il Musil de L’Uomo senza Qualità e il Marchese De Sade, con riferimenti espliciti a Murakami Aruki e a Oscar Wilde, e altri meno espliciti ma facilmente riconoscibili (primo fra tutti Raimond Carver), la storia si muove in modo circolare intorno a una data, il 17 giugno, che rappresenta il fulcro di un eterno ritorno puramente narrativo, intorno al quale realtà e sogno si rincorrono e si mescolano in continuazione, tanto che alla fine il lettore (che di fronte a capitoli composti da decine di pagine senza neppure un capoverso sarebbe tentato di abbandonare la lettura per passare a qualcosa di più “leggero”) viene catturato e non riesce a staccare gli occhi dalla pagina fino all’ultima sconvolgente riga.
Mozzi recupera, dalla sua attività di maestro delle short stories, l’abilità nel costruire vicende minute. Che in questo caso vengono amalgamate, intrecciate, mescolate in continuazione fino a ottenere una narrazione del tutto originale, spesso cruda al limite dell’indigesto, ma certamente degna di essere presa in considerazione.