C’era una volta la Siria. Un Paese che vedeva l’Italia come secondo partner commerciale. C’era una volta la Tunisia, ed anche in questo caso l’Italia è al secondo posto come interscambio. Lo ricordava, nei giorni scorsi, Gianni Bonini, senior fellow del think tank di politica internazionale Il Nodo di Gordio. Ma se si scorre il lungo elenco di Paesi colpiti dall’embargo statunitense poi imposto agli atlantisti, o dei Paesi sconvolti dalle rivolte colorate a Stelle e Strisce, si scopre che l’Italia era sempre ai primi posti come scambi commerciali. Per non parlare della Libia, precipitata nel caos grazie agli “amici” di Francia e Inghilterra e con il sostegno Usa.
Ora i problemi “spintanei” della Tunisia favoriranno un incremento dei clandestini diretti in Italia. Forse per i ministri anti italiani all’interno del governo di Sua Divinità questo rientra nell’interscambio commerciale. Traffico di uomini al posto del traffico di merci. Questa o quella per me pari sono. Non è proprio così, ma i vari ministri immigrazionisti sono contenti.
Più assurdo il comportamento del ceto imprenditoriale italiano che, per amore di servilismo atlantista, finge di ignorare le responsabilità della distruzione dei mercati dove l’Italia era più forte. Muti di fronte alla porcata libica, muti di fronte alle rivolte colorate inventate a tavolino, muti di fronte a sanzioni assurde che penalizzano le aziende italiane. O forse sono talmente miopi da accettare lo scambio tra la rinuncia ai mercati e la possibilità di utilizzare nuovi schiavi da sfruttare. Salvo poi lamentarsi per la perdita di competitività, per i modesti livelli di crescita della produttività. Dando la colpa alle tasse e non alle strategie che puntano sulle braccia e non sui cervelli, sui soliti mercati per evitare lo sforzo di studiare il resto del mondo.
E per giustificare la propria inadeguatezza sono anche pronti a sostenere tutte le campagne politicamente corrette che favoriscono il traffico di esseri umani.