Con l’arrivo della bella stagione aumentano anche le possibilità di fare gite fuori porta alla scoperta delle bellezze artistiche e turistiche del nostro Piemonte
Potreste, ad esempio, pensare di scoprire o approfondire la conoscenza con uno scultore di livello europeo: Paolo Troubetzkoy, e il tutto senza dover andare fino a Parigi o altre capitali europee in cui sono esposte le sue opere.
Vi basterà arrivare a Verbania, a circa un’ora e mezza di autostrada da Torino e qui, oltre a godere del paesaggio del lago Maggiore o gustare le prelibatezze dei ristoranti dell’Isola dei Pescatori, potrete recarvi al Museo del Paesaggio di Pallanza-Verbania la cui sezione di scultura presenta opere di Giulio Branca(1850-1926) e Arturo Martini(1889-1947), ma soprattutto i gessi del Principe Paolo Troubetzkoy (1866-1938) che proprio a Intra-Verbania ha avuto i natali.
Troubetzoy, madre americana e padre russo di famiglia nobile, coltivò quasi da autodidatta la sua passione per la pittura e, con maggiore successo, la scultura.
Conoscendo le lingue e frequentando l’aristocrazia europea della Belle Epoque gli fu facile inserirsi negli ambienti artistici francesi, italiani e russi, riuscendo addirittura a insegnare all’accademia imperiale di belle arti di Mosca dal 1897 al 1906.
Il suo stile nervoso, dinamico, con una punta di decadentismo non si discosta eccessivamente dallo stile scapigliato, che in quegli anni sconvolgeva Milano con le opere potentissime del torinese di nascita Medardo Rosso (1858-1928) e sembra annunciare certi risultati dell’avanguardia futurista.
Ma Troubetzkoy, ricco di famiglia e più propenso alla ritrattistica nel bel mondo non godette (e forse non gode tuttora) dell’amore dei critici, che lo identificarono come un dilettante di successo.
Lo si può facilmente ascrivere alla categoria di artisti incredibilmente talentuosi che nel secolo della bohème preferirono la ritrattistica di committenti danarosi e che per questo sono parzialmente snobbati dai corsi di storia dell’arte ma apprezzatissimi dal pubblico.
Parliamo ad esempio di Giovanni Boldini(1842-1931) o Anders Zorn(1860-1920) i quali, non a caso, furono amici di Troubetzkoy. E proprio un ritratto di Boldini, nella seconda sala del museo, potrebbe attirare l’attenzione dei visitatori: il pittore ferrarese portava gli occhiali e allora il principe Paolo glieli incide nella statua, soluzione inusuale eppure efficacissima.
Di intuizione, di immediatezza vive l’arte di questo scultore, anzi di momenti catturati. Lo si percepisce nei ritratti della bellissima moglie colta mentre sorride o in un attimo di raccoglimento ma ancora di più in una statua intimista il cui coté patetico non disturba: una giovane madre abbraccia e bacia sulla fronte la figlia. Lo sguardo della bimba fissa lo spettatore, o più probabilmente l’avvenire, con un misto di ingenuità e stupore, mentre il bacio della madre, insieme benedizione e presagio, sembra proiettare tutte le speranze, le paure e la consapevolezza delle prove che la figlia dovrà superare.
Un passaggio di forza e segreto femminile tra generazioni che ricorda i versi del miglior Gaber.
Prima di tornare a casa o recarvi alle Isole Borromee oppure all’orto botanico di villa Taranto potreste soffermarvi ancora qualche minuto di fronte al monumento ai caduti di Pallanza, una delle non molte commissioni pubbliche ricevute dall’artista.
Situato sul lungo lago, in prossimità di piazza Garibaldi e in contrasto con la classica retorica di questo tipo di monumenti che, di solito, ci presentano un soldato più o meno fiero o mesto, Troubetzkoy ha deciso di raffigurare una giovane vedova che tiene in braccio un bambino.
Lei depone una rosa mentre lui, ignaro, si succhia il pollice.
La normalità stravolta, l’assenza innaturale del padre e marito e un j’accuse straziante alla pratica bellica e ai suoi effetti. La statua, nel suo naturalismo semplice e aggraziato è forse più “silenziosa” ma non meno potente di un quadro di Paul Nash o di Guernica.
I giorni in cui, anche chi scrive ha la debolezza di pensare che servirebbero più cazzotti e pistolettate alla John Wayne per risolvere certe situazioni internazionali, la mente va a quel monumento e lo stomaco un po’ si chiude…