I dodici giorni di sciopero generale che hanno paralizzato l’Ecuador hanno avuto fine in seguito ad un accordo tra il governo di Quito, spostato eccezionalmente dal presidente Lenín Moreno nella città costiera di Guayaquil, e la Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador, CONAIE).
Il ritiro del decreto 883 contenente le misure che avevano generato la rivolta popolare degli ecuadoriani, tra cui l’aumento del prezzo dei carburanti in un Paese esportatore di petrolio e membro fino a poco tempo fa dell’Opec, rappresentava la prima richiesta per un graduale ritorno alla normalità da parte della CONAIE; al suo posto vedrà la luce un nuovo decreto la cui stesura sarà affidata ad una commissione congiunta tra membri dell’esecutivo e rappresentanti delle organizzazioni indigene.
Al minimo della propria popolarità il presidente ecuadoriano ha fatto retromarcia rispetto ai propositi bellicosi con cui aveva inizialmente reagito alle imponenti manifestazioni di piazza. Nel corso delle proteste, infatti, lo stato d’eccezione, con relativo spostamento della capitale in un bastione della destra conservatrice, e il coprifuoco voluti dal sessantaseienne inquilino del palazzo presidenziale hanno portato all’uccisione, da parte delle forze dell’ordine, di due cittadini, il ferimento, in molti casi grave, di alcune centinaia di persone e l’arresto arbitrario di altre decine.
Le misure neoliberiste che hanno segnato la svolta del governo in carica, eletto come successore dello storico leader socialista Rafael Correa prima di un incredibile voltafaccia, miravano ad un aumento del 65% del prezzo di benzina e diesel tramite l’abolizione del sussidio ai combustibili.
Negli ultimi mesi, in seguito all’accordo con il Fondo monetario internazionale che dovrebbe garantire un prestito da oltre quattro miliardi di dollari, Moreno ha provveduto a tagliare la spesa pubblica mediante licenziamenti massivi e riduzione dei salari pubblici del 20%, finendo per attaccare anche il sistema pensionistico del piccolo Paese sudamericano.
Le accuse iniziali rivolte all’ex presidente Correa e al bolivariano Nicolas Maduro di agire nell’ombra per favorire un colpo di stato sono apparse alquanto fantasiose considerando i problemi interni del presidente di Caracas e l’impossibilità a rientrare in territorio ecuadoriano dell’ex numero uno di Alianza País (Alleanza Paese) colpito dalle solite accuse di una magistratura che opera ad orologeria contro gli artefici della decade dorada.
Il vero fattore sottovalutato da Moreno è stata la rabbia popolare e la capacità di mobilitazione delle organizzazioni indigene che sono giunte ad occupare anche il Parlamento nazionale a Quito. In ogni caso dopo le vicissitudini del popolo argentino il caso dell’Ecuador dimostra il fallimento totale delle politiche di austerità nel continente latinoamericano.