Il fatto è, ormai, arcinoto. E ampiamente commentato di dritto e di rovescio. Anche perché è stato il protagonista a far di tutto per diffonderlo. Vista la grande importanza, morale, dell’evento.
Alain Elkann stava andando a Foggia. In treno. In completo di lino blu e camicia bianca. E leggeva Proust. O meglio, questa era la sua intenzione. Perché è stato disturbato da una torma di ragazzotti in abbigliamento estivo – canotte, pinocchietti, sandali, cappellini da baseball – che berciavano di ragazze da rimorchiare in spiaggia… quelli che lui definisce “lanzichenecchi”.
Lungi da me entrare nella diatriba scatenata dall’accorato, e lamentoso, pezzo di Elkann. Perché, sinceramente, non me ne frega un bel niente. Citazione, voluta, del vecchio motto squadrista, con ascendenze futuriste e dannunziane.
E poi di come vada vestito il giornalista in estate, altrettanto sinceramente, me ne infischio… citazione da Rett Butler, in Via col Vento.
Però alcune osservazioni mi sorgono, inevitabilmente, spontanee.
Leggere in treno. Attività encomiabile. Ma, sinceramente, Proust è… scomodo. Forse perché quella in mio possesso è l’edizione della Recherche dei Meridiani Mondadori. Non proprio un libriccino di agevole uso in ogni situazione. E, poi, perché proprio Proust?
Certo, fa molto intellettuale. E raffinato. Il completo di lino blu, la camicia bianca… e Proust. Perfetto. Una icona di eleganza, stile… un’immagine di colui che appartiene ad una élite che non si confonde col volgo.
E, in questo senso, la scelta non può che cadere su Proust. Perché tutti lo riconoscono come l’autore elitario per eccellenza.
Peccato, poi, che quasi nessuno lo legga. Perché è uno scrittore dallo stile straordinario, ma ben pochi ci si cimentano. E tra quei pochi ancora meno riescono ad andare oltre la scena iniziale. Le Madeleine e il tè.
Però leggere, o dire di aver letto la Recherche fa fino. Molto intellettuale. Superiorità culturale (e sociale) manifesta. Per dirla con il Marchese del Grillo: io so’ io, e voi non siete un c***o.
Ora, anzi orbene, non mi sognerei mai di consigliare in alternativa un giallo di Rex Stout o un romanzetto di Wodehouse… che, comunque, sarebbero compagni di viaggio ben più ameni. Ma, ripeto, perché proprio Proust?
Perché non la tetralogia “Il mare della fertilità” di Mishima? O “La morte di Virgilio” di Broch? O “Agosto 1914” di Solzhenycijn?
O perché non “Morte a credito” di Céline? Che, per inciso, considerava Proust una palla…
Forse perché queste opere, e tante altre, sono straordinarie, ma nessuno (o quasi) le riconosce ? E quindi l’effetto “intellettuale raffinato in mezzo al volgo ignorante” va perduto?
E poi, perché leggere Proust su un treno per Foggia? Mica stai andando a Combray… nel Tavoliere stai andando. Nel cuore, piatto, del profondo Sud. Sarò banale, e sciovinista, ma vedrei meglio l’Alianello de “L’eredità della priora”. O , che so, il “Giulio Cesare” di Luciano Canfora, che almeno pugliese è (Canfora, non Cesare).
O, amando i grossi tomi, “Canale Mussolini” di Pennacchi il più grande romanzo italiano del secondo Novecento.
Hai voglia a scegliere… mica c’è solo Proust…
Comunque, de gustibus….
Ma continua a frullarmi in capo quell’epiteto. Lanzichenecchi.
Ora, presumo che i ragazzi che hanno turbato cotanta raffinata lettura, andassero verso il mare. Vestiti come oggi usa.. con stile, per inciso, che non mi piace… ma andavano al mare. A rimorchiare ragazze. A fare il bagno e mangiare hamburger. Non a una conferenza Dell’Accademia della Crusca.
E, poi, lanzichenecchi… sa Elkann cosa fossero davvero i lanzichenecchi? Mi piacerebbe che, grazie alla macchina del tempo di H.G.Welles, ne potesse incontrare un paio. Di quelli veri. Quelli del sacco di Roma, la migliore, e più feroce, fanteria mercenaria della storia… E allora vorrei vedere se si preoccuperebbe ancora tanto del “suo” Proust….