Anno Tolkieniano questo che è appena cominciato. Proprio oggi, mentre scrivo, è l’anniversario della nascita di Tolkien, ma soprattutto nel 2023 cade il cinquantesimo dalla morte del professore di Oxford capace, nel suo studiolo, di inventare una intera mitologia.
E i Tolkieniani, storici, dotti e anche molti improvvisati, stanno già saturando il web e i social di citazioni, frasi, saggi più o meno approfonditi. Nonché, ovviamente, di immagini del prof. Tolkien con l’inseparabile pipa in bocca. Che è, quasi sempre, una biliard, dritta e dal capace camino. Notazione da fumatore di pipa, per altri fumatori di pipa. Vero, Bartolo?
Comunque, mettermi ora a parlare, o meglio scrivere anch’io di Tolkien, del suo capolavoro “Il Signore degli anelli”, dello “Hobbit”, del “Silmarillion”, nonché della infinita serie di opere minori, racconti perduti e ritrovati, racconti incompiuti….un lascito di inediti da fare concorrenza (quasi) al baule di Pessoa, curato, sino alla recente scomparsa, dal figlio Christopher, mi creerebbe un qualche… disagio. Mi sembrerebbe di pestare acqua nel mortaio. Dove già tanta ne è stata pestata da altri. E, quasi sempre, molto meglio di come potrei fare io…
Né diverso sarebbe se mi volessi addentrare nel tema, spinoso, del pensiero del professore. Del suo essere cattolico, tradizionalista, antimoderno. Del suo rapporto con C. S. Lewis, del circolo, eccentrico, degli Inklings….
Insomma di Tolkien è stato detto già tutto (e il contrario di tutto). E ancora di più verrà detto nel corso dell’anno…
E allora? Perché scrivi questo articolo! Si chiederà il Direttore, uscendo dal torpore conseguente gli abusi di Capodanno….
Per una ragione molto semplice. Che, al di là di ermeneutiche ed esegesi, non andrebbe mai dimenticata.
A me, Tolkien piace. E molto. E mi appassiona, emoziona, diverte sempre leggere e rileggere le sue pagine. Uno straordinario compagno nei momenti di solitudine. Sin da quando, adolescente, scovai in una libreria la Trilogia. Pubblicata in tre volumi da Rusconi, per volere di Alfredo Cattabiani. Che era l’unica voce dissonante in una editoria, quella degli anni ’70, totalmente prona ai dettati di Botteghe Oscure. E alla censura di una intellighenzia radical chic che vedeva Tolkien come il fumo negli occhi.
Non nego che, inizialmente, lo comprai come gesto di ribellione e sfida. Con lo stesso animus con cui portavo una certa “fiamma” sul bavero del giubbotto.
Però, appena cominciai a leggerlo, mi dimenticai di tutto. Mi piaceva. Mi appassionava. Mi faceva sognare .
Punto e basta
Riduttivo? Troppo semplicistico? Forse… però confesso che è lo stesso atteggiamento che ho sempre avuto nei confronti dei libri importanti della mia vita.
È così con Dante. Io quando leggo Francesca e Paolo, mi commuovo. E quando Farinata si erge dal sepolcro di fuoco, vengo preso da forti emozioni.
Ed è così con Omero. Piango di rabbia con Achille in riva al mare, per l’oltraggio di Agamennone. E fremo di curiositas entrando con Odisseo nell’antro di Circe..
Ed è così con Shakespeare. I tormenti di Hamlet, il machiavellismo di Riccardo III, il grande discorso di Enrico V…e, poi, mi diverto con quel ciccione vanitoso di Falstaff, con le beffe delle comari, con i sogni di Prospero e Ariele…
È così anche con l’Edda poetica, con il Kakevala, con la saga di Igor e con quella, kirghiza, di Manas…
E lo è con le fiabe incantate di Sherazade, e con quelle, crudeli, dei Grimm. E anche col Beowulf, di cui proprio Tolkien fu Grande studioso.
Insomma, con tutto ciò, che, in qualche modo, si lega a una cultura profonda, radicale. Che evoca qualcosa nell’animo. Qualcosa di… basale. Essenziale e, forse, anche primitivo.
Poi, naturalmente, ci sono i libri che ho letto, talvolta dovuto leggere, per cultura, lavoro, interesse intellettuale. Grandi libri. Manzoni e Proust. Solo per fare due esempi eclatanti. Tuttavia, sono un’altra cosa. Sfido chiunque a sognare con Swann. O a identificarsi in Renzo Tramaglino…
Con Tolkien… bèh con Tolkien è un continuo sogno. Un grande viaggio della fantasia.