Il Financial Times ha riportato sulle sue pagine che l’azienda danese Lego ha interrotto un progetto di lunga gestazione per realizzare i celebri mattoncini per costruzioni utilizzando plastica ricavata da bottiglie per bevande riciclate, sostenendo che il nuovo materiale avrebbe causato maggiori emissioni di carbonio rispetto alla regolare produzione della compagnia.
Il più grosso costruttore danese di giocattoli al mondo aveva annunciato due anni fa che stava lavorando a una ricerca per capire se la plastica PET, nome comune del Polietilene Tereftalato, che non si degrada in termini di qualità quando riciclato, potessero essere utilizzati anche per poter produrre i famosissimi mattoncini da costruzione riducendone l’impatto nocivo sull’ambiente.
Se avesse funzionato, il materiale avrebbe potuto sostituire l’Acrilonitrile Butadiene Stirene (ABS), materiale plasitco a base di petrolio che è attualmente utilizzato per la produzione dei pezzi. Tuttavia, l’azienda ha dichiarato al giornale di economia e finanza che la plastica Pet causerebbe persino maggiori emissioni di carbonio nel corso della vita del prodotto. Lego cercherà invece nel corso dei prossimi mesi di migliorare l’impronta di carbonio del già utilizzato ABS, si apprende dalle dichiarazioni fatte dai portavoce dell’azienda danese.
Niels Christiansen, amministratore delegato di Lego, ha sottolineato che nei primi giorni della ricerca, il team di Research & Development dell’azienda sperava di riuscire a trovare questo “materiale magico” per risolvere i problemi di sostenibilità ecologica della produzione del famoso giocattolo. “Abbiamo testato centinaia e centinaia di materiali. Non è stato possibile trovare un materiale del genere”, ha spiegato.
Forse perché questo materiale non può fisicamente esistere dato che è solo nella testa dei team di comunicazione. Ma ai team di comunicazione non piace ricordarlo ai consumatori. In questo come in molti altri casi.
Il colosso dei giocattoli danese infatti non è la prima grande compagnia a fare una timida retromarcia su progetti chic e ad alta tecnologia legati alla sostenibilità ambientale dal grande impatto comunicativo e poco altro. In diversi settori (come ad esempio quello automobilistico, con il boom della produzione di auto elettriche degli ultimi due anni) ormai il malcontento di fronte a questo tipo di operazioni smaccatamente pubblicitarie e prive di reale sostanza nella lotta all’inquinamento sta cominciando a serpeggiare in maniera piuttosto esplicita tra i corridoi.
Malcontento che sta sfuggendo alle maglie strette dei reparti di pubbliche relazioni che non possono far altro che alzare le mani e ammettere tra i denti stretti che niente di quello che fanno ha il minimo impatto positivo sull’ambiente e, anzi, in alcuni casi (come quello dello smaltimento delle batterie al litio e quelle al piombo-acido nel settore automobilistico) sta addirittura ampliando l’impatto negativo delle produzioni sull’ecosistema del pianeta.
Il basso coefficiente di riciclabilità dei materiali plastici è ormai un fatto ampiamente risaputo (il materiale plastico più riciclabile raggiunge un tristissimo 20% di riutilizzabilità), su cui si fa orecchie da mercante berciando slogan rassicuranti nel tentativo di soffocare il senso di colpa di consumatori resi un po’ troppo consapevoli dei danni ambientali del consumismo sfrenato e che devono in qualche modo continuare a consumare questi prodotti.
Ci troviamo quindi di fronte ai primi, inquietanti scricchiolii (comunicativi ed economici) di quello che il filosofo sloveno Slavoj Zizek definirebbe “capitalismo etico”, dove al consumatore non viene solo venduto il prodotto in quanto tale, ma anche un’idea di sé stesso e del produttore come agenti positivi di un cambiamento all’interno del mondo, un placebo per i sensi di colpa che affliggono la nostra civiltà che sta lentamente perdendo il suo effetto lenitivo per lasciare spazio alla triste realtà dei fatti: ciò che pensiamo di stare facendo in nome del pianeta è solo l’ennesima operazione comunicativa di un reparto marketing che cerca di fare controllo dei danni.
E nel frattempo, i danni veri continuano nella piena indifferenza.