Fabio L.Grassi, uno dei più grandi esperti italiani di politica ed economia della Turchia nonché docente universitario e senior fellow del think tank di geopolitica Il Nodo di Gordio, ha spiegato che nel Paese è in atto un nuovo intervento di repressione contro i gülenisti, ossia i sostenitori del tentato colpo di stato di pochi anni orsono. Grassi sottolinea che, in teoria, possono ancora esserci rari gülenisti infiltrati tra le forze armate e in qualche centro di potere, ma la repressione ormai prescinde completamente dai golpisti e colpisce gli oppositori di qualsiasi genere.

Un problema che non è certo limitato alla Turchia e che riguarda i sedicenti stati democratici che impongono il pensiero unico obbligatorio e creano leggi liberticide per eliminare ogni forma di dissenso anche solo verbale. L’uso politico della giustizia è una prassi molto nota in un Paese a Nord Ovest della Turchia e collocato in mezzo al Mediterraneo.
Ma l’analisi di Grassi va oltre gli aspetti di libertà e democrazia per arrivare alle conseguenze pratiche. I regimi che eliminano od emarginano le teste pensanti, poiché pericolose, si ritrovano con una classe dirigente di incapaci, di incompetenti, di inetti. La cooptazione diventa l’unico criterio per il rinnovamento ed i cooptati sono rigorosamente più stupidi di chi li ha preceduti, per non far ombra al Sistema.
Le conseguenze sono inevitabilmente disastrose. L’economia affidata a chi non conosce neppure il prezzo di una bottiglia di latte, la scuola nelle mani di chi si occupa solo di giocare con i banchi, la cultura offerta a chi la vuole distruggere in nome del politicamente corretto, la salute rovinata da un ipocondriaco, la politica estera gestita da chi ignora la geografia. L’importante è che funzioni il sistema di repressione, con stipendi sicuri alle truppe mandate contro chi lo stipendio sicuro non ce l’ha. Non tutti questi disastri in un solo Paese, sia chiaro. Sarebbe eccessivo.
Però è evidente che qualsiasi Paese non può reggere all’epurazione delle intelligenze senza ritrovarsi in gravi difficoltà che sono sempre più difficili da affrontare. Non solo in politica ma anche in economia. Se l’Italia, da decenni, cresce meno degli altri principali Paesi europei ed extraeuropei, non è colpa del destino cinico e baro. Ma di una classe dirigente omogeneamente inadatta. Che chiude le aziende o cerca di venderle al primo investitore straniero.
Se gli intellettuali di riferimento sono Murgia e Saviano è evidente che tutto è andato storto.

Ma si continua ad emarginare, si continua a cooptare. E si finge stupore se non si conta nulla a livello internazionale. Nel mondo la musica italiana è ferma ad Albano, perché altrove non credono che i vari fenomeni osannati a Sanremo siano musicisti e non emettitori di rumori. Ma si insiste con scelte autoreferenziali nella musica, nel cinema, in tv, in letteratura.
Però ora possiamo consolarci. La Turchia sceglie la stessa strada. Anche se, comunque, è diventata protagonista in Libia proprio a danno dell’Italia. E lo stesso vale per il Corno d’Africa. Perché gli autocrati, come Putin ad esempio, non tollerano il dissenso ma sanno circondarsi di elementi competenti. A Mosca hanno Lavrov, a Roma Giggino.