Sin dall’epoca dei Celti il Canavese è stato considerato un territorio “industriale”. Legato alla trasformazione dei metalli. Per poi diventare un polo siderurgico e metalmeccanico affiancato al capolavoro imprenditoriale che fu l’Olivetti di Adriano, capace di creare una industria estremamente innovativa strettamente connessa ad un polo culturale con base ad Ivrea. Ora, però, l’Olivetti è stata annientata da De Benedetti, metalmeccanica e siderurgia sono in crisi ed il Canavese prova a rilanciarsi con un turismo che avrà come elemento trainante il vino. L’Erbaluce, in particolare.
Maria Rosa Cena, sindaco di Caluso, è consapevole che la strada non sarà né facile né breve. Ma bisogna pur cominciare. Con il sostegno di Bartolomeo Merlo, presidente del Consorzio per la valorizzazione dei vini canavesani. Non solo il bianco Erbaluce, ma anche un grande rosso come il Carema, ottenuto dal Nebbiolo.
Un primo passo è stato compiuto ieri, con l’inaugurazione di una vigna urbana proprio a Caluso, capitale dell’Erbaluce. Per ora solo le barbatelle, ma è il segnale che conta. Anche perché il Canavese non è solo il vino. Pochi metri sopra la nuova vigna, i resti di una casaforte del XIII secolo rappresentano una potenziale attrazione turistica. Così come i sentieri naturalistici, i castelli e le dimore nobiliari del territorio. Ma anche l’esperienza Damanhur, l’archeologia industriale, le montagne e la Serra. C’è solo l’imbarazzo della scelta.
E, intelligentemente, alle iniziative per coinvolgere i ragazzi del locale istituto agrario si aggiungeranno quelle per i ragazzi che si occupano di design. Perché non c’è solo il cibo ma un pacchetto turistico complessivo di alta qualità. L’Erbaluce può trainare l’immagine del Canavese, diventando magari un nuovo aperitivo di tendenza.
Ma, poi, serve un salto di qualità degli operatori dell’accoglienza per sostenere la nuova vocazione del territorio. E, troppo spesso, il percorso da compiere non sarà breve.