“È stato ar fronte, sì, ma cor pensiero /però te dà le spiegazzioni esatte /de le battaje che nun ha mai fatte…”
Questo, ovviamente, è Carlo Alberto Salustri. Più noto come Trilussa. E dico ovviamente non solo perché questo “Eroe ar caffè” è uno dei suoi testi più famosi, ma perché è inconfondibile la sua parlata. Un romanesco molto addomesticato rispetto a quello, volutamente plebeo del grande Giuseppe Gioacchino Belli. Che, per altro, era un cultore dell’italiano letterario, un autentico purista. Ma quando voleva sfogare i suoi umori di pancia, ricorreva alla parlata della plebe. Quella della Roma papalina, che manco sapeva cosa fosse la lingua italiana.
Quello del Trilussa è, al contrario, un dialetto molto addomesticato. Parlato da un ceto medio romano, abituato a usare (anche) l’italiano. Più un vezzo, un colore che altro. Tant’è che lo si capisce perfettamente, senza bisogno di sottotitoli.
La poesia di Trilussa era molte cose. La sua scelta dialettale deriva, però, chiaramente da una vena satirica. Perché avrebbe potuto usare l’italiano, ma il dialetto, o meglio la coloritura vernacolare, rende la sua poesia più pastosa. Più viva. Ed efficace.
Così questo “eroe” che parla e straparla al caffè delle sue imprese, che si vanta di ciò che mai ha fatto, ce lo vediamo davanti. E Trilussa vi ironizza con feroce bonomia. Perché la sua satira è tosta, ma mai cattiva. Come, invece, quella del Belli.
È un tipo umano molto comune, questo “eroe”. Per certi versi ricorrente, nella storia e nella società italiana.
Anche se le sue radici sono latine. Il Pirgopiolinice di Plauto. Il Miles Gloriosus. Oggetto di beffa feroce. E di una ironia, questa sì, acre e crudele. Anche perché Plauto è romano. E nella Roma del tempo non vi era pietà per fanfaroni e millantatori. Altra Roma. Altri Romani, soprattutto.
Comunque, il Miles, non a caso, è greco. O meglio, un levantino, che, di fatto, sulle guerre guadagna. Ma di sicuro si guarda bene dal combatterle in prima persona.
Personaggio divertente, certo. Ma arrogante e, nella sostanza, spregevole. Lo comprese bene Pier Paolo Paolo Pasolini. Nella sua “traduzione”, rivisitazione, “Il vantone”.
Dove non a caso utilizzò – lui raffinato poeta nel suo friulano – il dialetto grezzo delle borgate romane.
Perché di “vantoni” certo PPP ne vedeva tanti, in giro per la Roma, e l’Italia tutta, di quegli anni. La Roma e l’Italia del 1963. Dove tutti erano stati partigiani, e avevano eroicamente sconfitto nazisti e fascisti. D’altro canto era stato proprio Giorgio Amendola, storico dirigente del PCI a dire che, sino al 25 aprile i partigiani erano, più o meno, 30/50 mila. Dopo il 25 erano diventati circa un milione.
Parallelamente erano scomparsi i fascisti. Sciarpe littorio, orbaci, diplomi antemarcia. Prima innumerevoli, poi finiti nelle discariche. Basti pensare a un film memorabile. “Il federale” con un gigantesco Ugo Tognazzi…
L’eroe al caffè è, dunque, un tipo italiano molto, troppo comune. Purtroppo.
Ai tempi di Trilussa, tuttavia, parlava, si vantava, mllantava al caffè. O in osteria. Dove le chiacchere restano pur sempre chiacchere. Vane e innocue.
Ma, oggi, il Vantone, stupido e vanaglorioso, siede su ben più alti scranni. In parlamento. Sui banchi del governo. A Palazzo Chigi. Finge di essere un guerriero. Lancia insulti e minacce a destra e sinistra. A Zar e Sultani. A Rais e Mandarini. Che, certo, ben sanno quanto contino le sue minacce… Però, siccome non le dice al bar di periferia, le annotano. E prima o dopo, presenteranno il conto. Salato.
Solo che a pagare quel conto, non sarà il nostro eroe. Già defilatosi prima del redde rationem. A godersi i premi e le prebende guadagnati dimostrando di essere il più fedele, e il più sciocco, dei servi sciocchi.
Lui non pagherà. Loro non pagheranno.
Pagherà, come si dice, Pantalone. Ovvero noi. A livello economico di sicuro. A livello politico, altrettanto certo. Speriamo anche non ad altri livelli.
Perché quando l’eroe di Trilussa urla e fa la voce grossa al caffè, non vi è certo qualcuno che pensi di dargli una lezione. Fa solo ridere. Ma quando il Vantone parla, poniamo il caso, da Palazzo Chigi o dalla Farnesina…beh, vi sembrerebbe così strano che qualcuno pensasse di dargli una lezione?
In fondo, il nostro Pirgopolinice, mercante d’armi, ha dichiarato guerra…anche se facciamo finta che non sia così..