Ma se il clima è cambiato, perché l’imprenditoria italiana non si adegua? Al di là dell’onanismo intellettuale a proposito della responsabilità umana o meno sul riscaldamento del pianeta, è strano notare come agricoltura, industria e servizi preferiscano sprecare tempo per provare, inutilmente, a frenare il fenomeno invece di dedicarsi all’adattamento delle rispettive attività.
Eppure i periodi di riscaldamento sono già stati affrontati. Ed erano definiti, curiosamente, optimum climatico. In epoca romana tra il duecento e quattrocento dopo Cristo e poi per circa quattrocento anni in epoca medievale, dal Mille al millequattrocento. Quando molto degli attuali ghiacciai alpini erano scomparsi.

Ma invece di organizzare dibattiti e piagnistei nelle corti o nelle taverne, i nostri avi si ingegnarono a modificare i comportamenti e le attività. Determinate coltivazioni si spostarono a Nord e poi in altura. E dove faceva più caldo arrivarono nuove colture.
Ora si preferisce il lamento. Non solo in agricoltura. La stagione calda dura più tempo, come sostengono gli esperti? Ma il turismo se ne frega ed evita accuratamente di prolungare l’apertura di ristoranti, hotel, negozi, servizi nelle località di vacanza. Certo, le scuole riaprono a settembre e non più ad ottobre, garantendo peraltro una preparazione decisamente inferiore. Ma non ci sono solo famiglie con bambini a dedicarsi al turismo.
E dovrebbero capirlo le industrie, con un diverso scaglionamento delle ferie dei dipendenti. Dovrebbero capirlo gli operatori dei servizi.
Invece pare che non interessi a nessuno. Il turista sceglie di viaggiare a settembre o a ottobre? I prezzi dei ristoranti sono i medesimi di agosto, nei negozi i prezzi non sono scontati. Però molti esercizi commerciali sono chiusi. Uno stimolo per allungare la stagione turistica, indubbiamente. D’altronde chi è abituato a lavorare 4 mesi all’anno, garantendosi un guadagno sufficiente per 12 mesi, perché mai dovrebbe affaticarsi qualche mese in più? Perché lavorare di più, abbassando i prezzi, per un guadagno che non cresce nella stessa misura?

La risposta più logica sarebbe nei vuoti lasciati dai turisti nella stagione estiva. Niente “tutto esaurito” se non nelle settimane centrali di agosto. Ma, avendo aumentato i prezzi, gli incassi non sono diminuiti. Il problema si presenterà qualora continuassero le due tendenze: meno turisti e prezzi in aumento. Perché i ricchi sono sempre più ricchi ma diventano meno numerosi. Ed il ceto medio non può più permettersi lunghe vacanze a prezzi folli. Prezzi che non scendono neppure in quella che un tempo era la bassa stagione. E che agli operatori turistici non piace, perché sono interessati esclusivamente al “turismo di qualità” basato su ospiti con portafoglio gonfio. Troppo poco numerosi per soddisfare le aspettative di tutte le località turistiche.