Dal nostro corrispondente a Mosca
Passati un po’ di giorni dalla fine del Vertice di Samarcanda della ШОС, le voci deliranti della stampa italiana e dei consessi di analisti hanno trovato finalmente pace. Quiete. Parecchie cose sono state lette e sentite riguardo questo breve ma intenso appuntamento nel cuore del continente asiatico, la maggior parte delle quali però, un po’ in chiave beffarda e un po’ con malcelata compiacenza, concentrate esclusivamente sulla Russia e le sue condizioni alla prova dell’incontro coi colossi emergenti.
Chiacchiere che, come ovvio, si sono contraddistinte per il ritorno in auge degli effetti speciali alla Top Gun o della tradizionale retorica Sci-Fi da Guerra Fredda, i quali spesso accompagnano la tessitura analitica dell’odierna dialettica della politica internazionale e della sua presentazione pubblica, da parte degli esperti. Chiusa questa breve parentesi polemica, può tornare utile e interessante soffermarsi un poco sui fatti avvenuti, riflettendo sul serio e in profondità.
Ebbene si chiude il Vertice della ШОС del 2022, organizzazione sconosciuta ai più prima di quest’anno corrente, tra l’euforia generale, in Russia e in Asia, e le mille critiche speculative miste a scetticismo compiaciuto, in Occidente. Un Vertice contraddistintosi per varie riunioni bilaterali di rilievo, dai contenuti interessanti, e da risultati finali degni di nota. Avere un focus esclusivo su quanto ha interessato direttamente la Russia equivale ad avere una prospettiva alquanto parziale e riduttiva di questa due giorni in Uzbekistan, specie se correlato solamente alle attività militari in Ucraina. Occorre piuttosto avere una visione d’insieme, che includa invece tutti gli stati che hanno preso parte all’evento.
La ШОС, come ne testimoniano le origini e i successivi allargamenti, fa della pluralità di stati-civiltà e delle rispettive visioni tradizionali il suo cardine fondante, il suo principio indiscutibile. D’altronde un’organizzazione come questa, che al suo interno ormai contiene civiltà statuali come India, Cina, Russia ma anche Iran e Pakistan, non può essere minimamente paragonata alla NATO, né per funzioni (avendo maggiormente diversificate) né per una questione essenziale di rappresentazione di interessi, essendo l’area euro-atlantica composta da stati piuttosto omogenei tra loro ma, dettaglio non da poco, radicalmente eterogenei per peso specifico e distribuzione di funzionalità. Non dimentichiamoci che gli stati sono role-players nella politica internazionale.
Pertanto, appaiono alquanto ridicole tutte le insinuazioni e le speculazioni di chi, al termine di questo Vertice, ha fatto dell’individuazione di (presunte) spaccature e divergenze incolmabili il cuore della propria tesi: più semplicemente, la SCO è caratterizzata da una distribuzione di potere e funzionale molto più piatta rispetto alle tradizionali organizzazioni euro-atlantiche, per motivi evidenti che risparmio. Sempre qualora fosse possibile, ovviamente, parlare di spaccature e divergenze. Dunque, tra le cose più degne di attenzione di questo Vertice, vi sono senz’altro la Dichiarazione Finale e lo spirito e i dialoghi dei lavori preparatori, punti conclusivi e comunemente vincolanti di fondamentale importanza per la comprensione di quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi.
Per i più attenti, pare immediatamente chiaro che questo Vertice si sia chiuso con una dichiarazione di intenti comune che lascia intravedere una prossima crescita futura di prerogative da parte della SCO e di attività nazionali pur sotto la propria egida e, dunque, di una inevitabile maggior coordinazione e integrazione tra gli stati firmatari.
Gli stati firmatari, infatti, hanno espresso la volontà comune di aumentare la cooperazione e la coordinazione sotto la SCO in numerosi settori: energia, con il lancio di missioni comuni di esplorazione/estrazione di idrocarburi in Eurasia e la corsa alle rinnovabili attraverso lo sviluppo di know-how collettivo nel campo delle tecnologie verdi, finalizzato allo sviluppo dell’economia sostenibile; difesa, col programma di intensificare la cooperazione e lo scambio di vedute/capacità nel settore della Difesa negli anni a venire; commercio, con la volontà di proporre nei consessi UN (i cui rappresentanti, infatti, erano presenti a Samarkand e hanno avuto scambi informali con Vladimir Putin) la riforma del WTO e la decisione di garantire un commercio regolare di componentistica industriale, anche sofisticata, tra gli stati membri (spesso oggetto di sanzioni occidentali); logistica, col programma di garantire stabilità ai corridoi di trasporto eurasiatici (San Pietroburgo-Shanghai e San Pietroburgo-Dubai, lungo le direttive nord-sud ed est-ovest, come sottolineato anche dal presidente del Kazakistan Tokayev) e di potenziare trasporto e telecomunicazioni in Eurasia.
Tuttavia, sul discorso riguardante l’economia e il commercio interno alla ШОС è necessario aggiungere qualche dettaglio non trascurabile: la Dichiarazione Finale, infatti, assieme ai lavori preparatori e oltre quanto citato, menziona la volontà comune di garantire un regime di free trade eurasiatico, in linea con le volontà originarie di Russia e Cina sul futuro della SCO, dal volume economico molto più ampio della regionale EAEU e, in una prospettiva temporale non lontana, di rappresentare presto oltre il 30% del PIL totale pianeta.
Ciò, da come si evince dalle fonti sopra citate, sarà possibile solamente attraverso la decisione programmatica di rimuovere le barriere doganali tra gli stati membri, di incentivare la sostituzione delle attuali importazioni nazionali orientandole verso l’area SCO, di coordinare localizzazioni/de-localizzazioni al suo interno (reshoring e nearshoring), come anche di sigillare la SCO come area economica protezionistica dando priorità alla protezione della produzione interna, degli investimenti reciproci e delle supply/production chains.
A tal proposito, risulta ovvio che le preoccupazioni espresse da Narendra Modi e Xi Jinping sulla necessità di opporre gli strumenti di risoluzione diplomatica alla soluzione bellica (a lor parere, impraticabili in quest’attuale epoca storica), del tutto coerenti con gli interessi di India e Cina, essendo le due economie nazionali grandi beneficiarie del libero commercio internazionale nello sviluppo scalare rispettivo, nulla abbiano a che vedere con la vociferata e presunta rottura della neutralità sulla questione ucraina, quanto piuttosto esse siano sintomo della necessità di securitizzare le catene economiche mondiali da shock esogeni o rivolgimenti politici, preoccupazione che peraltro ha trovato traduzione pratica nella Dichiarazione Finale.
A tal riguardo, è importante citare alcuni bilaterali registratisi nella sede uzbeka, i loro contenuti e il modello di cooperazione che se ne evince. Una su tutte, è la partnership indo-russa che, dal canto suo, ne esce rafforzata in maniera marcata nella cooperazione nell’ambito della sicurezza energetica e alimentare (ruolo chiave è giocato dall’export russo di fertilizzanti nel mercato indiano, generalmente cresciuto quest’anno di otto volte anche per merito dell’intermediazione della Turchia nell’aggiramento delle sanzioni, oltre che dall’export di miglio, sul cui tema la SCO l’anno prossimo terrà una vasta conferenza mondiale), come pure nell’ambito della libera circolazione di persone e merci, attraverso l’istituzione di un regime visa-free tra Mosca e New Delhi a partire dal 2024, fatto che avrà inevitabilmente evidenti ripercussioni positive nel turismo e nel business.
Non meno secondario è lo stato delle relazioni turco-russe, capaci di creare sia un tavolo di dialogo permanente Mosca-Ankara nella risoluzione diplomatica della crisi ucraina e nell’applicazione del grain deal sulla limitazione dei corridoi di export di grano all’Europa (cosa peraltro confermata a Samarkand, assieme alla sponda turca per l’export di ammoniaca russa, previsto in crescita netta nel 2023 assieme a quello di cereali, che a sua volta si aggirerà attorno a un +90% verso Afrasia e America Latina), sia una solida partnership economica su base win-win, su cui peraltro gli USA minacciano ritorsioni attraverso sanzioni secondarie, la quale ha evidenti riflessi nell’allacciamento del circuito pagamenti russo MIR-NSPK al sistema bancario turco.
Un ulteriore accordo formale tra Turchia e Russia contempla, inoltre, l’aumento del volume degli scambi economici e di de-dollarizzarli progressivamente e, infine, potrebbe consistere nella stipula di una tacita intesa per il nuovo assetto territoriale del Caucaso, in cui la questione azero-armena (e il non-intervento CSTO, assieme all’interventismo americano) e il Corridoio di Zangezur (e, lato sensu, i corridoi eurasiatici) sono key issues. Non meno importante è la dichiarazione di Recep Erdogan di far aderire, a pieno titolo e dal prossimo anno assieme alla Bielorussia, la Repubblica di Turchia alla ШОС.
Sempre riguardo la questione caucasico-eurasiatica e i corridoi economici continentali, che la ШОС intende sviluppare rivoluzionando irreversibilmente (come affermato testualmente da Putin) gli assetti economici globali, è di interesse menzionare il ruolo di soft power esercitato dalla Cina in Uzbekistan: Xi Jinping, incontrando Aliyev ed Erdogan, ha chiaramente espresso di vedere il Caucaso e l’Azerbaigian come cruciali nel garantire stabilità all’accesso dell’OBOR (progetto mai accantonato, al contrario di quanto speculato) ai mercati europei e, per quanto concerne invece la Turchia, di considerare l’approfondimento delle relazioni strategiche una priorità assoluta, al fine di assumere una posizione coordinata e compatta di fronte ai cambiamenti dell’ordine internazionale e alla sua necessaria riforma, rendendo complementari i progetti economici OBOR e Middle Corridor e prioritizzando integrità e sovranità territoriali (1CP, Kurdistan e Xinjiang) su tutto. Di interesse prioritario per la Cina è anche la partnership strategica con la Bielorussia, evidenziata dal bilaterale Lukashenko-Xi Jinping, e la stabilità tra Tajikistan e Kirghizistan, avendo in progetto la costruzione di reti ferroviarie tra i due paesi: gli interessi con la Russia coincidono.
A fronte dei contenuti dei bilaterali e dei multilaterali, considerando lo spirito dei lavori preparatori e i contenuti della Dichiarazione Finale, pare dunque azzardato supporre o speculare su presunte spaccature o isolamenti di alcuni Stati, come da alcuni ipotizzato per la Federazione Russa, durante il Vertice ШОС di quest’anno. Questi esempi di partnership bilaterali menzionati, infatti, a detta dei capi di Stato e secondo i termini della Dichiarazione Finale, rappresenterebbero al contrario un nuovo modello di concertazione internazionale, o meglio di Great Powers Management (il cui modello esemplare dovrebbe essere l’Intesa sino-russa), che fa del rispetto della sovranità e dell’armonizzazione degli interessi nazionali, del co-sostegno alla stabilità regionale e del multilateralismo, come anche del rifiuto della militarizzazione delle catene economiche e dell’impegno per la promozione del free trade, dei propri standard caratteristici.
La ШОС, dunque, opererebbe in tal senso come contenitore alternativo di istanze sovrane, o meglio vero e proprio modello differente di società internazionale basato sul principio di uguaglianza formale, pluralità e reciprocità. Un modello di società internazionale che coopterebbe così alcuni frames dell’ordine liberale internazionale, pur svuotandolo e denucleandolo del liberalismo come ideologia comune ai suoi membri, e che aspira a contenere anche le istanze dei nuovi dialogue-partners (Qatar, Egitto, Bahrain, Maldive, EAU, Kuwait, Arabia Saudita, Myanmar) ed external-partners (Turchia, Siria, Cambogia, Sri Lanka, Nepal, Armenia, Azerbaigian), dimostrando così di non disporre di un civilizational standard uniforme per tutti e di includere al proprio interno diversi centri di potere al contempo sussistenti.