Maurizio Stefanini, sul giornale La Ragione, ricorda una sua intervista al filosofo e politologo russo Alexander Dugin. In quell’occasione Dugin – che in Occidente viene falsamente spacciato come “consigliere nero” di Putin – aveva già ipotizzato un eventuale e forse inevitabile conflitto in Ucraina. Ed era il 2014. Un conflitto locale che rientrava in un confronto generale contro il globalismo, contro il predominio dei multimiliardari americani che vogliono sottomettere il mondo intero. L’Occidente moderno, dove trionfano i Rotschild, Soros, Schwab, Bill Gates, Zuckerberg – sostiene ora Dugin – “è la cosa più disgustosa della storia del mondo”.
Due concezioni opposte e senza possibilità di incontro. Due mondi destinati, nella visione di Dugin, a restare separati, con rischi che il disgusto reciproco abbia conseguenze drammatiche. Dugin, nell’intervista a Stefanini del 2014, ribadiva anche la sua concezione di una Russia come perno di una complementarietà tra l’Eurasia produttrice di materie prime ed una Europa occidentale con un’industria tecnologicamente avanzata.
Sono trascorsi 8 anni che hanno cambiato radicalmente le prospettive. Le sanzioni che Washington ha imposto all’Europa di adottare contro Mosca hanno spinto la Russia fuori dalle alleanze europee e l’hanno confinata tra le braccia cinesi. Un abbraccio tra disperati, con la logica del 2014. Perché le materie prime senza tecnologia servono a poco. In realtà anche le tecnologie senza materie prime non possono fare granché.
Però in questi 8 anni molto è cambiato. La Russia ha perso un’occasione storica e forse irripetibile di ammodernare la propria economia, lasciando che gli oligarchi spolpassero il Paese per accumulare ricchezze. Proprio come i vari Gates, Zuckerberg, Bezos. Ma peggio degli americani. Perché i multimiliardari statunitensi hanno usato i soldi per controllare il mondo, quelli russi per farsi gli affari propri. Non per controllare i media, i social, la produzione cinematografica, quella letteraria, quella musicale e la logistica.
La Cina, al contrario, ha investito sulla modernizzazione del Paese. Lasciando crescere gli oligarchi locali con proiezioni internazionali. Salvo poi intervenire a tagliare i loro artigli quando volevano interferire con la politica del governo. L’impero di Xi non si limita a copiare le tecnologie occidentali, ma è ormai in grado di svilupparle autonomamente. La corsa allo spazio è solo una delle tante dimostrazioni di efficienza.
Tutti, poi, sottovalutano l’India. Che è inesistente sul fronte della politica internazionale in rapporto al proprio ruolo potenziale. Che ha numerose sacche di povertà ed arretratezza. Che ha una burocrazia disastrosamente simile a quella di certe regioni italiane. Ma che, al contrario dell’Italia, sta puntando da tempo sull’economia dell’intelligenza. Non si nota nell’immediato, ma è una garanzia per il futuro. Di fronte ai disastri provocati dalla didattica a distanza, l’India si è preoccupata di come far recuperare agli studenti la preparazione persa negli ultimi due anni. Nella consapevolezza che la flessione nel livello di preparazione degli studenti in questi due anni avrà ripercussioni gravi se non verrà affrontata in modo rapido ed efficace.
L’Italia, al contrario, si è preoccupata esclusivamente di non affaticare troppo gli studenti che affrontano la maturità e che dovrebbero, addirittura, scrivere un tema e tradurre una versione dal greco o dal latino, oppure affrontare un problema di matematica o un compito scritto nelle materie caratteristiche dei rispettivi corsi di studio.