In Europa scoppia il caso vaccini. La guerra per accaparrarsi quante più dosi è entrata nel vivo. Tra Bruxelles ed aziende produttrici è scontro sul rispetto delle consegne: in gioco c’è l’uscita dall’incubo pandemia, ma anche il ruolo del Vecchio continente quale attore autonomo nello scacchiere internazionale post-covid.
La battaglia sui numeri
80 milioni. Tante le dosi previste dall’accordo fra Bruxelles e AstraZeneca, con consegna entro aprile 2021. Dopo Pfizer, la compagnia britannica aveva annunciato di produrne solo 31 causa intoppi nella produzione in Belgio. Da qui il caos: proteste dagli Stati membri e dalla Commissione europea. E la sua stessa presidente Ursula von der Leyen sotto accusa per la gestione consegne. Il nodo si è sciolto, in parte, quando AstraZeneca ha dato l’ok ad ulteriori 9 milioni di dosi, 40 in totale, pur lontane dalle 80 pattuite. Ma la diatriba lascia strascichi a livello politico e sanitario.

Il tavolo dei negoziati
In sei mesi la Commissione europea ha concluso – a nome dei 27 – contratti con sei compagnie farmaceutiche per oltre due miliardi di dosi. Facendo leva sul peso negoziale del mercato unico europeo si è assicurata prezzi più favorevoli, almeno sulla carta. Tuttavia, un simile approccio ‘collettivo’ ha un costo: la velocità di distribuzione. E l’Ue si trova ora a dover spingere sull’acceleratore. Mentre gli Stati membri – come nel caso ungherese – puntano ad accaparrarsi dosi in autonomia. D’altro canto – va detto – se fossero stati i singoli Paesi a trattare con i big del comparto farmaceutico, senza i filtri di Bruxelles, sarebbero scaturiti squilibri a favore dei paesi con più peso politico. A fronte del debole esecutivo giallo-rosso, Francia e Germania l’avrebbero fatta da padrone.
Gli errori di Bruxelles
Nei palazzi della Commissione europea – nota Reuters – erano consapevoli fin da dicembre dei ritardi nella produzione vaccini. Tuttavia Von der Leyen ha sbandierato obiettivi ambiziosi: vaccinare il 70% della popolazione adulta Ue entro luglio 2021. Intanto molte dosi lasciavano indisturbate gli stabilimenti europei per approdare in Paesi terzi. A buttare benzina sul fuoco è lo stesso patron di AstraZeneca, dichiarando che l’azienda non è obbligata a consegnare le dosi all’Ue entro una data certa, bensì – come da contratto – deve solo “fare del suo meglio”. E’ qui che l’Europa ci mette una pezza, approvando una stretta senza precedenti alle esportazioni, impedendo in sostanza ai produttori di spedire vaccini oltre i confini comunitari.
Una strategia nuova?
La mossa Ue di limitare l’export delle dosi verso paesi extra-comunitari è giudicata da molti un atto di forza. Anche da parte di amici storici come il Giappone. Una cambio di rotta– quello europeo – insolito: è prassi nelle relazioni esterne di Bruxelles usare la carota piuttosto che il bastone.

L’azione della Commissione Ue – date le carte in tavola – risulta però l’unica praticabile per indurre le multinazionali a rispettare l’accordo. Portare le compagnie in tribunale, o uscire dall’accordo stesso, sarebbero opzioni macchinose e controproducenti. La giocata un po’ a sorpresa della Von der Leyen mostra che l’Ue può – se serve – mettere sul tavolo nette ‘azioni di potere’.
In uno scenario dove anche le multinazionali assumono la veste di decisori politici, l’Europa può intraprendere una strada nuova: diventare un corpo con una visione strategica, capace di rafforzare la coesione interna puntando a fare gli interessi dei propri Stati nelle relazioni con l’esterno. Utilizzando leve diverse. Insomma, nella guerra dei vaccini la posta in gioco per l’Ue è alta: diventare un attore geopolitico nello scenario che si delineerà dopo la pandemia.